I 40 anni della Legge 180, della riforma pensata e voluta da Franco Basaglia per cambiare la mentalità e le norme sulla salute mentale, occasione per riflettere sul welfare e sul cambiamento dei tempi che richiedono anche di costruire nuovi modelli per la salute delle persone.
Si è ampiamente parlato di legge Basaglia e del sistema dell’assistenza nella salute mentale nel convegno «C’era una volta la 180. 40 anni di percorsi di vita» svoltosi a Castiglione del Lago con gli interventi di Maria Patrizia Lorenzetti, direttore dipartimentale salute mentale Usl 1, Giovanna del Giudice, presidente conferenza permanente Franco Basaglia, Elisabetta Rossi, dirigente struttura complessa salute mentale Usl 1, Riccardo Curreli, direttore REMS Cagliari (dove è ricoverato Luigi Chiatti), Maria Grazia Cogliati Dezza, coordinatrice socio-sanitaria Azienda sanitaria tirestina, Paola Grifo, dirigente salute mentale di Bergamo, Luca Natalicchi, responsabile Csm Ponte San Giovanni-Perugia, Marco Grignani direttore salute mentale Assisano-Media Valle del Tevere.
Nel corso del convegno è stato evidenziato, tra le tante innovazioni portate dalla legge Basaglia, come «le storie delle persone sono più importanti delle loro diagnosi cliniche» e che i bisogni-malattie «fanno parte dei diritti di cittadinanza non negoziabili» e che «la più grande conquista derivante dalla 180 è la non riconoscibilità del paziente una volta inserito in un contesto sociale» diverso dal manicomio. E’ stato anche sottolineato come la legge Basaglia abbia posto «fine allo statuto speciale per le persone affette da disturbi mentali e permesso il pieno accesso alla cittadinanza sociale» a queste persone. Se molto è stato fatto, però, rimane ancora molto da fare: rinnovare le pratiche inclusive e partecipative, rifiutare certe tipologie di residenzialità che appaiono un ritorno al passato, operare meglio nei territori, sostenere le famiglie e coinvolgere le comunità (l’alleanza forte invocata da Gianfranco Piombaroli, presidente della Cooperativa Polis che ha organizzato l’evento). Una particolare attenzione è stata posta sulle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) che hanno sostituito gli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), una «vera antinomia» a partire dal «doppio binario» per la «reclusione» di cittadini che hanno commesso reati, ma sono stati giudicati «incapaci di intendere e volere». Un confronto che ha portato a formulare una domanda: le Rems sono utili o sono degli Opg senza agenti di polizia penitenziaria? Tra gli elementi di cura e welfare partecipativo è stato portato l’esempio dell’Azienda sanitaria triestina che ha avviato un progetto (La città che cura) di sostegno agli anziani e alle persone affette da disturbi mentali che prevede la condivisione delle case sfitte, dei cortili condominiali, degli spazi comuni. Una sorta di condominialità condivisa, un sostegno di vicinato così come era in passato sull’onda di uno slogan significativo: «meno ospizi e più vicinato».
In conclusione è stato ricordato come l’intenzione di Basaglia «non era di riformare il manicomio, ma di distruggerlo», di «ridare dignità alle persone» attraverso la «libertà, perché la libertà è terapeutica» ed era necessario «restituire diritti a coloro ai quali erano stati tolti». La sfida dei tempi moderni è di «includere pienamente le persone affette da disturbi mentali nella società affinché vivano una vita di cittadini completa». Secondo Basaglia, infine, «il rapporto terapeutico è possibile solo di fronte alla restituzione della libertà all’altro».
Credits: foto Bergamonews