Applicato un moderno approccio multidisciplinare per comprendere l’origine del Nuovo Cratere di Sud-Est dell’Etna. A renderlo noto è uno studio firmato dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e dell’Università Roma Tre, recentemente pubblicato su Frontiers in Earth Science
Da sempre elementi di attrazione – amati e temuti, ammirati e rispettati – i vulcani restano sempre al centro dell’attenzione di ricercatori e appassionati.
Ma perché i vulcani cambiano? Cosa li rende tanto “instabili” in corrispondenza delle bocche sommitali? Un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e dell’Università Roma Tre risponde a queste domande, ripercorrendo la storia del Nuovo Cratere di Sud-Est dell’Etna, di recente formazione. Lo studio (http://journal.frontiersin.org/article/10.3389/feart.2016.00067/full) è stato pubblicato sulla rivista “Frontiers in Earth Science”.
I vulcani di solito eruttano dalla loro cima, da uno o più crateri sommitali. Un’attività che si manifesta, in genere, in modo “persistente”, quasi continuo nel tempo, e utilizza le bocche già presenti sulla cima del vulcano. Proprio per questo, è molto raro osservare la nascita di un nuovo cratere sommitale permanente e, ancor più eccezionale, come in questo caso, vedere una nuova bocca rimpiazzare le bocche precedenti. “L’Etna è uno dei pochi vulcani al mondo in cui è stato possibile cogliere e monitorare la nascita di una nuova bocca eruttiva sommitale, avvenuta nell’ultimo decennio”, afferma Marco Neri, coordinatore del lavoro e primo ricercatore presso l’Osservatorio Etneo dell’INGV (INGV-OE). “In realtà, nuove bocche sommitali si erano aperte anche nel secolo scorso, ma solo adesso, per la prima volta, siamo riusciti ad applicare un moderno approccio multidisciplinare per monitorare la nascita del nuovo cratere”.
Il Nuovo Cratere di Sud-Est si è formato alla base orientale del più “vecchio” Cratere di Sud-Est, lungo una frattura orientata NO-SE (Nord-Ovest Sud-Est), ripetutamente “iniettata” dal magma nell’ultimo decennio “Cresciuto rapidamente sull’orlo della Valle del Bove, a ridosso di una parete a strapiombo alta circa mille metri, il nuovo cono eruttivo risulta intrinsecamente instabile e potenzialmente soggetto a franare. Anche per questo motivo, quindi, è necessario monitorare con estrema attenzione l’evoluzione morfo-strutturale di questo nuovo cratere”, prosegue Neri.
Rilevamenti di terreno e aerei, unitamente a dati termici satellitari e dati di deformazione del suolo con GPS (Global Positioning System) di alta precisione, hanno permesso di definire le variazioni vulcanologiche e strutturali connesse con la formazione di questo nuovo cratere sommitale. “Le cause di questo evento epocale nella recente storia dell’Etna”, aggiunge il ricercatore, “sono state individuate nella complessa instabilità che caratterizza, in particolare, il fianco nord-orientale del vulcano. L’Etna, infatti, subisce ciclicamente nel tempo dei fenomeni di inflazione (rigonfiamento), seguiti da deflazione (sgonfiamento) che durano generalmente da alcuni mesi a pochi anni. Recentemente, durante i periodi di inflazione, il fianco nord-orientale dell’Etna si è deformato, seguendo traiettorie di ‘traslazione’ semi-circolari: la porzione sommitale si è spostata verso Nord-Est, la parte intermedia verso Est e infine la parte distale, in prossimità del Mare Ionio, è traslata verso Sud-Est. Lo spostamento verso Nord-Est della parte sommitale del vulcano ha favorito l’apertura di numerose fessure eruttive orientate in senso NO-SE (Nord-Ovest Sud-Est) e la conseguente nascita del Nuovo Cratere di Sud-Est”.
Vulcani che hanno mostrato grandi cambiamenti strutturali negli ultimi decenni, come il Mount S. Helens (Washington, Stati Uniti) ed il Bezymianny (Kamčatka, Russia), non hanno subito spostamenti dei loro crateri sommitali. “È su tempi più lunghi (centinaia o migliaia di anni) che un edificio vulcanico può cambiare la configurazione delle sue bocche eruttive, come rivelano i dati geologici. Un evento molto importante nella storia di un vulcano, in quanto testimonia la variazione geometrica dei condotti che trasferiscono il magma verso la superficie, e quando ciò avviene ha sempre importanti ripercussioni sulla pericolosità vulcanica”, prosegue Valerio Acocella, ricercatore presso l’Università Roma Tre e co-autore del lavoro.
L’esempio del Nuovo Cratere di Sud-Est mostra come un vulcano attivo, caratterizzato da una continua instabilità dei suoi fianchi, sia fortemente condizionato a cambiare la posizione dei condotti di risalita magmatica, e ciò può avvenire in tempi relativamente brevi. “Il caso dell’Etna è, quindi, un esempio eccezionale per comprendere meglio le dinamiche eruttive di vulcani attivi, specialmente se soggetti a scivolamenti gravitativi e a deformazioni dei fianchi degli apparati”, conclude Marco Neri.
Giulio Pocecco