Ha chiuso l’edizione 2019 del Cortile di Francesco il grande fotografo brasiliano Sebastiao Salgado, presentando il suo progetto sull’Amazzonia che ha richiesto ben sette anni di lavoro e che culminerà nel 2021 con una grande mostra che inaugurerà, contemporaneamente, in quattro grandi città: San Paolo, Rio de Janeiro, Parigi e Roma, dove sarà ospitata al MAXXI.
Il silenzio delle immagini contiene in sé tutti i suoni del mondo ed il bianco e nero degli scatti di Salgado racchiude in sé tutti i colori del mondo: le suggestive immagini di una terra unica, così bella e martoriata, e le accorate parole dell’autore che sta lottando strenuamente per salvare la foresta amazzonica hanno scosso il pubblico numerosissimo che, sotto una pioggia battente, quasi un pianto della natura per lo scempio che si sta compiendo, hanno assistito all’invocazione di aiuto di una terra e di un popolo inerme, che deve essere anche la nostra.
Umbria e Cultura nel suo piccolo, cosciente che il destino dell’intera umanità dipende dalla capacità di salvaguardare il nostro habitat, intende raccogliere l’invito di Salgado che invoca un corale impegno, una voce comune da parte di tutti gli abitanti della Terra, che si alzi unica e forte, per fermare questo danno irreparabile.
Salgado ha voluto fotografare popoli, animali, piante, paesaggi per far conoscere l’Amazzonia e quindi farne comprendere il ruolo ed il valore: “solo conoscendola – sostiene giustamente – si può amarla e difenderla”. Le immagini, poetiche nella loro rappresentazione di fragilità, sono state proiettate sulla facciata della Basilica Superiore di San Francesco accompagnate delle struggenti note del compositore brasiliano Hector Villa Lobos.
Crediamo non ci siano parole migliori, se non quelle che Salgado stesso ha pronunciato nel suo intervento, per descrivere cosa sia l’Amazzonia, quale sia il suo ruolo nella vita del pianeta, e cosa l’umanità stia rischiando a causa di una logica basata esclusivamente sul danaro.
“Dal momento che Bolsonaro è stato eletto alla presidenza del Brasile – ha esordito Salgado – ha introdotto incentivi ai contadini presenti in Amazzonia per distruggere la foresta ed ampliare le aree coltivabili; ha ad indebolito la FUNAI, l’associazione nazionale degli indios, e dell’IBAMA, l’istituzione legata al ministero dell’ambiente brasiliano deputata al controllo del territorio, riducendo le sovvenzioni e rimuovendo dai ruoli apicali le persone indipendenti sostituendole con poliziotti a lui fedeli, annullando così di fatto ogni controllo sul territorio. L’Amazzonia, essendo una foresta tropicale umida non brucia, a bruciare sono gli alberi già morti, abbattuti ferocemente attraverso l’uso di caterpillar enormi, uniti fra di loro con immense catene, come quelle delle ancore delle navi, che riescono, al loro passaggio, ad abbattere selvaggiamente ogni tipo di vegetazione su estensioni enormi della foresta. L’Amazzonia non brucia ovunque, brucia dove ci sono le grandi fattorie che vogliono diventare ancora più immense.
C’è bisogno che tutto il pianeta unisca le sue voci per proteggere la foresta, ma c’è bisogno che non sia un movimento “alla moda”, passeggero, ma che sia persistente la rivendicazione di salvare l’Amazzonia per salvare il pianeta. Il 25% dell’ossigeno che permette la vita sulla terra è prodotto in Amazzonia, territorio dalla più rilevante bio diversità e da dove si dipartono gran parte delle correnti umide che percorrono il pianeta. In Amazzonia resistono le popolazioni indios, che una volta contavano una popolazione di 5 milioni di persone e che ora sono solo 310mila: si tratta della più grande catastrofe umanitaria mai avvenuta. Alcune di queste popolazioni non sono mai entrate in contatto con la civiltà, perdere l’Amazzonia significa perdere tutto questo e condannare il genere umano all’estinzione.
“Sia ben chiaro – prosegue Salgado – la distruzione dell’Amazzonia non è iniziata con Bolsonaro, il presidente del Brasile ha solo accelerato un processo che va avanti da 50 anni a causa di un modello economico che non è più sostenibile. Bisogna riconsiderare tutto ciò, introducendo in Brasile, e non solo, un modello economico sostenibile nel lungo periodo; in caso contrario l’Amazzonia sarà irrimediabilmente perduta.
Benedetta Tintillini
Foto di Alfonso Della Corte per Umbria e Cultura