Eddie Van Halen: morto uno degli ultimi guitar heroes

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Il mondo dell’hard rock e della musica mondiale piange la perdita di uno dei chitarristi che ha lasciato una firma indelebile nel firmamento e nella storia della chitarra elettrica: Eddie Van Halen.

Co-fondatore, insieme a suo fratello Alex, del gruppo Van Halen, Edward è considerato uno tra i più influenti, innovativi e talentuosi chitarristi del XX secolo.

La più importante innovazione che lo ha fatto diventare una leggenda della chitarra è stata l’introduzione nella chitarra elettrica della tecnica del tapping: ovvero suonare lo strumento con entrambe le mani sulla tastiera in modo da raggiungere velocità elevate e coprire intervalli inusualmente ampi e impossibili da raggiungere con il legato tradizionale. Questa importante novità ebbe grande impatto sulle generazioni successive di chitarristi in particolare della scena hard rock e heavy metal per i quali costituisce un vero e proprio punto di riferimento, sia per il suo approccio originale nella creazione degli assoli che per la grande attenzione alla ritmica, nella quale si può notare una grande padronanza del suono con un forte utilizzo della dinamica e persino la personalizzazione dello strumento, divenuta dopo di lui un’abitudine degli artisti rock.

Infatti, la chitarra simbolo di Eddie Van Halen fu la Frankenstrat: Frankenstrat rappresentava il tentativo di Van Halen di combinare il suono di una chitarra Gibson con gli la struttura morfologica di una Fender. Originariamente era costituita da un corpo solido di una chitarra Stratocaster che Eddie modificò per poterla adattare ad un pickup humbucker Gibson PAF. Aveva una tastiera e un manico in acero e le parti metalliche cromate. Il suo strumento si è modificato nel tempo passando attraverso una serie di diverse colorazioni, fino a raggiungere la combinazione ormai famosa di rosso con strisce bianche e nere. La Frankenstrat è una chitarra a sei corde con un tremolo di tipo Floyd Rose.

Il mondo del pop lo ricorda anche per aver suonato l’assolo di “Beat it” di Michael Jackson.

Giulio Pocecco

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