Lo spettacolo, prodotto dal Teatro Stabile dell’Umbria insieme al Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale e al Festival di Spoleto, andrà in scena sabato 24, domenica 25 e lunedì 26 giugno al Teatro Caio Melisso – Spazio Carla Fendi. Sul palco (in ordine alfabetico): Giordano Agrusta, Maurizio Cardillo, Ilaria Falini, Angela Malfitano, Francesca Mazza, Mario Pirrello, Tino Rossi, Massimiliano Speziani e Giuliana Vigogna.
“In questa trilogia vedo la possibilità di tornare al senso pratico del teatro – spiega Lidi – deviando gli intellettualismi e scegliendo la semplicità nella sua altezza. Scegliendo uno spazio. Scegliendo l’empatia e non una bolla elitaria. Scegliendo l’amore e il dolore che comporta questa opzione ma soprattutto scegliendo gli attori come forma d’arte e come pietra preziosa da difendere nel teatro italiano del nostro tempo. E per ricominciare a camminare in questo tempo così incerto credo che il teatro sia un ottimo progetto sul quale focalizzare le nostre energie”.
Dalle note di regia di Zio Vanja. “C’eravamo tanto amati. La seconda tappa del Progetto Čechov abbandona il gioco e si indurisce nel tempo. Spazza via i contadini che citano Dante a memoria per consentire un abuso edilizio ambizioso e muscolare. C’era un grande prato verde dove nascono speranze e noi ci abbiamo costruito una casa asfissiante con troppe inutili stanze a occupare ogni spazio vitale. Avevamo sfumature e ora c’è un chirurgico bianco e nero che strizza l’occhio allo spettatore intelligente. Avevamo donne e uomini che cercavano la vita attraverso l’amore ma abbiamo preferito prenderne le distanze. Quando? Quando è diventato “troppo poco” parlare d’amore? Come se poi ci fosse qualcos’altro di interessante. Il cuore si è tinto di nero e questa possibile colorata commedia si è trasformata in una dissacrante e continuata risata isterica ad un funerale. L’idea di un paese guidato dai suoi pensatori è sepolta e noi non possiamo che fare i conti partendo da questo inesorabile dato di fatto. Questa casa è culturalmente morta, governata da ignoranti e da sterili ideologie. Ce lo ricorda lo Zio, quel buffone vestito male che palpa con gli occhi le nostre fidanzatine e aspetta le riunioni di famiglia per alzare il gomito e sbatterci in faccia la nostra condizione perennemente umiliante. Inutile lavorare, inutile impegnarsi, inutile studiare. Meglio aspettare un reddito senza sudare, meglio lamentarsi di chi ha distrutto il talento”. Leonardo Lidi