Al debutto in prima nazionale al Teatro Comunale in occasione del Todi Festival Cabaret, la pièce diretta da Saverio Marconi conquista il pubblico umbro con la durezza di una vita quotidiana in bilico tra sogno e realtà.
Berlino 1931. “Wilkommen! Bienvenue! Welcome! Per questa sera state insieme a noi! Wilkommen! Bienvenue! Welcome al cabaret! Lasciate fuori i vostri problemi! Qui non ci sono problemi”, con queste parole il (gran) Maestro di Cerimonie (Giampiero Ingrassia) dà il benvenuto agli ospiti del Kit Kat Klub, rivolgendosi a loro (la platea) con un sogghigno a tratti ameno, a tratti inquietante. Con sguardo fisso e fermo e un trucco che, tra sopracciglia arcuate e cerone bianco, ricorda un joker ridente ed irriverente, Ingrassia accompagnerà il pubblico, lungo tutto lo spettacolo, non sempre e solo in qualità di anfitrione, ma anche, a nostro avviso, in qualità di “velata” guida agli eventi (della narrazione, ma anche storici veri e propri). Quello che infatti potrebbe apparire il personaggio più grottesco, risulterà invece, durante la pièce, profeta del pericolo dell’avanzamento del potere nazista e del cambiamento storico-politico ormai alle porte. Un campanello d’allarme che, però, troppo presi da uno spirito leggero e superficiale (sognatori o forse disillusi dalla vita), i protagonisti sembrano non sentire.
Duro e crudo, lo spettacolo, ambientato a Berlino nel 1931, verte non solo sulla ricerca di un successo che non arriva mai e chiude i personaggi sul palco nel circolo vizioso del club (ottimo rifugio da un mondo esterno che pone davanti agli occhi la cruda realtà e che dà troppi pensieri e problemi), ma anche su altri temi ricorrenti, soldi e sesso, l’uno spesso complementare all’altro. Il resto è “contorno” e scivola via volutamente ignorato da tutti.
I sentimenti? Ci sono, ma anche quelli portano sempre ad una scelta e non tutti riescono a lasciarsi andare. Abbiamo la relazione tra Sally Bowles (una eccellente Giulia Ottonello) e il romanziere Cliff Bradshaw (Mauro Simone): i due partono da un rapporto di comodo e arrivano all’innamoramento, ma l’avidità e la paura di perdere la propria quotidianità, seppur squallida, vincerà sui migliori dei sentimenti. Degno di nota il cambio d’abito avvenuto durante una delle scene. Generalmente vestita di verde (forse a rappresentare qualche briciola di speranza di riuscire ad essere la donna che avrebbe voluto), Sally si ritrova sul palco, traballante e stordita, prima della rottura con Cliff, con un abito rosso (perdizione o perdita?) perfettamente in linea con il telone dietro di lei sul quale, si scoprirà, è impressa una grande svastica nera.
La fine è arrivata per tutti. Non avendo voluto scegliere, i protagonisti si trovano ora in balia di chi, per loro, muoverà le fila del destino e la Ottonello regala al pubblico una splendida versione in italiano di “Life is a Cabaret”. L’attrice arriva dritta al cuore del pubblico. Aiutata forse anche fisicamente dal contrasto fra la carnagione chiara e i capelli rossi che le accarezzano il viso, quasi una presenza eterea, la sua Sally viene percepita, man mano, come una donna fragile che si nasconde dietro una forte e bellissima voce, probabilmente unica difesa da un mondo sterile che non le regala nulla.
Ancora, la relazione tra Fräulein Schneider (Altea Russo), l’affittacamere, e il suo ospite ebreo Herr Schultz (Michele Renzullo): un affetto che nasce dal tenero bisogno di vincere la solitudine, per rispetto o per abitudine ma che verrà bruscamente condizionato dal trascorrere degli eventi. “Se guardi con i miei occhi, non ti meraviglierai” ci canta il Maestro di Cerimonia, sottolineando il tema attualissimo della “diversità”…
Intorno queste storie ruotano gli altri attori in scena, Ernst Ludwig (Alessandro Di Giulio), il nazista che non si ferma davanti a nulla e nessuno per il partito, i ballerini-cantanti (Valentina Gullace, Ilaria Suss, Nadia Scherani, Marta Belloni, Andrea Verzicco, Gianluca Pillo), tutti si muovono sulle note della coinvolgente musica dal vivo in appoggio sul palco. Insieme, per comporre un Cabaret dinanzi cui lo spettatore non potrà rimanere indifferente e non notare un atteggiamento di (auto) commiserazione, di piangersi addosso, di fuga dalla realtà che, nel migliore dei casi, porta l’ individuo ad un’esistenza di frustrazione e rimpianti. Un atteggiamento tale, in un’epoca decisiva come quella in cui è ambientato lo spettacolo, ha condotto una società a sottovalutare la potenza che stava acquisendo quel Terzo Reich di cui, il 30 gennaio 1933, Adolf Hitler venne nominato Cancelliere e che in breve lo portò ad essere il Führer.
La quarta parete si infrange nel finale e la platea si ritrova per un attimo, prima della chiusura del sipario, trasportata in uno dei momenti più drammatici della storia e lì, sembra quasi di essere accanto a Sally e gli altri, coi loro cappotti scuri e la luce spenta degli occhi.
Gli occhi di chi non ha voluto sentire quel campanello d’allarme che non ha mai smesso di suonare.
Cabaret – della Compagnia della Rancia,regia di Saverio Marconi, con Giampiero Ingrassia, Giulia Ottonello, Mauro Simone, Altea Russo. Michele Renzulli, Alessandro DI Giulio, Valentina Gullace, Ilaria Suss, Nadia Scherani, Marta Belloni, Andrea Verzicco, Gianluca Pillo, testo Joe Masteroff (basato sulla commedia di John Van Druten e sui racconti di Christopher Isherwood), musiche di John Kander (traduzione di Michele Renzullo) liriche di Fred Ebb (adattamento di Saverio Marconi), scene di Gabriele Moreschi e Saverio Marconi, costumi di Carla Accoramboni, coreografie di Gillian Bruce, supervisione musicale di Marco Iacomelli, direzione musicale di Riccardo Di Paola, disegno luci a cura di Valerio Tiberi, disegno fonico di Enrico Porcelli, produzione esecutiva di Michele Renzullo.
Orchestra: Alessandro Cassani (contrabbasso), Martino Malacrida (batteria), Tiziano Cannas Aghedu (violino, tromba, fisarmonica), Ausonio Giovanni Calò (clarinetto, sax tenore), Direttore Riccardo Di Paola (pianoforte)
di Francesca Cecchini
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