Nella deliziosa Villa Carlotti, sede del Municipio di Caprino Veronese, è custodita un’opera pregevole per fattura e qualità: il gruppo scultoreo del Compianto sul Cristo Morto.
Caprino Veronese, delizioso centro di 9000 anime ai piedi del Monte Baldo, è impreziosito dalla struttura seicentesca di Villa Carlotti, prestigiosa testimonianza dell’ascesa sociale dei componenti dell’omonima famiglia che, dalla fortuna economica raggiunta grazie al commercio del vetro, raggiunsero lo status di nobili grazie al titolo di marchesi, ottenuto con un’oculata politica matrimoniale che li legò ai celeberrimi Medici di Firenze.
Ora sede del Municipio di Caprino Veronese, Villa Carlotti è decorata con affreschi Sei e Settecenteschi, come quelli del salone centrale, ora adibito a sala del consiglio comunale, costituiti da medaglioni incorniciati da stucchi con scene di caccia e idilliache prospettive architettoniche.
Alcune sale della villa sono adibite a museo, attualmente oggetto di ampliamento, al fine di conservare reperti archeologici rinvenuti nella zona, prevalentemente dell’età del ferro, reperti paleontologici, storici e artistici. Tra questi ultimi trionfa, per importanza, il gruppo scultoreo del Compianto sul Cristo Morto, un gruppo di statue del Trecento in calcare organogeno, di tipica tradizione mitteleuropea, attribuito al Maestro di Sant’Anastasia.
Oscura e travagliata è la storia di questo gruppo di statue, originariamente policrome, la cui presenza a Caprino Veronese non è stato possibile spiegare. Il gruppo scultoreo in stile gotico italiano, una volta spostato dalla sua collocazione originaria nella cappella della Confraternita della Buona Morte nella chiesa del Santissimo Sacramento, per questioni “logistiche” subì l’asportazione della parte inferiore (dalla vita in giù) di tutte le statue, il taglio degli avanbracci di Giuseppe di Arimatea e di Nicodemo, e la sparizione della statua della Maddalena, al fine di permetterne la collocazione in una nicchia risicata alle spalle dell’altare maggiore.
Dopo un restauro durato ben otto anni presso l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, le statue hanno trovato collocazione definitiva in una stanza del museo, appositamente allestita per una fruizione ideale e particolarmente suggestiva, preceduta da un percorso esplicativo delle vicissitudini dell’opera, e introdotta da una frase tratta dallo Stabat Mater di Jacopone da Todi che ben rappresenta la scena che, a momenti, ci si accinge ad ammirare: “… Piange la Madre pietosa contemplando le piaghe del Divino suo Figlio. Chi può trattenersi dal pianto davanti alla Madre di Cristo in tanto tormento?”.
La visione del gruppo, ritenuto l’opera più importante di questo genere in Italia, colpisce per la resa dei dettagli e l’estrema drammaticità della scena: dal volto tirato e disperatamente realistico del Cristo esanime al dolore più o meno composto della schiera di presenti che insieme a Maria, sono colpiti dall’atroce destino del Figlio di Dio. Come da tradizione fanno parte del gruppo, oltre al Cristo giacente e la Madonna, le figure di Nicodemo, Giuseppe di Arimatea, l’Apostolo Giovanni, Maria di Cleofa e Maria Salomè.
Benedetta Tintillini