Sarà visitabile fino al 7 aprile 2024, presso il Museo Etrusco di Villa Giulia di Roma, la mostra “Spina Etrusca. Un grande porto nel Mediterraneo”
Terza tappa dell’evento celebrativo in occasione dei cento anni dalla scoperta del sito archeologico etrusco di Spina, presso il delta del Po, la mostra “Spina Etrusca. Un grande porto nel Mediterraneo” giunge a Roma dopo le esposizioni a Comacchio e Ferrara.
Curata e coordinata dal Direttore del Museo, il tuderte Valentino Nizzo, la mostra intende testimoniare la grande importanza che ha rivestito il porto di Spina nei suoi tre secoli di vita grazie ai fitti scambi culturali ed economici con i popoli del Mediterraneo: Greci, Fenici, Latini e Celti.
“Lo scavo di Spina, datato 4 aprile 1922 – spiega il Direttore Nizzo – ha restituito ben 4000 tombe intatte con i loro corredi funerari, i più importanti testimoni della storia preromana del Mediterraneo antico”. “La storia è scritta dai vincitori – prosegue Nizzo – e cambia in base alla visuale di chi la racconta. Quella degli Etruschi è stata raccontata da Greci e Romani, i reperti di Spina ci restituiscono un racconto da parte degli stessi protagonisti”.
L’immagine scelta per la comunicazione della mostra rappresenta il particolare di una hydria con i pirati tirreni che si trasformano in delfini e che si tuffano in un “mare color del vino”, dalla celebre frase tratta dall’Odissea di Omero. L’hydria in questione racconta anche una storia di riappropriazione di un bene illecitamente trafugato: è tornata infatti in Italia dopo essere stata di proprietà del Mueum of Art di Toledo, in Ohio.
Ma un altro mito è al centro della mostra: quello dei “Sette contro Tebe”, protagonista del cratere della tomba 579 messo “a colloquio” con l’altorilievo del tempio di Pyrgi. La lettura di quest’ultimo è resa più facile e attraente grazie all’allestimento della ditta umbra Katatexilux, che ha realizzato un sistema di video proiezioni emozionali e immersive attraverso le quali sarà possibile, per ogni visitatore, leggere l’opera in ogni suo dettaglio compositivo.
Lo sforzo di rendere intellegibili i reperti esposti è un carattere distintivo della direzione di Nizzo che, aggirandosi tra le sale del museo, ha notato come i visitatori porgano solo sguardi fugaci su opere che meriterebbero una ben più approfondita analisi; per agevolare chi è animato da curiosità ma non sostenuto da una profonda preparazione, Nizzo convoglia i suoi sforzi nel trovare soluzioni innovative come gli allestimenti multimediali o la riproduzione di una antichissima phiale rituale, uno dei pezzi più pregiati del museo, al fine di renderla leggibile a tutti e comparabile con l’originale.
La mostra “Spina Etrusca. Un grande porto nel Mediterraneo” si articola in sette sezioni, dal racconto della scoperta del sito archeologico con i diari di scavo e materiale multimediale, ai miti legati al Delta del Po e all’arrivo dei Pelasgi a Spina, a quello, già citato, della trasformazione dei pirati tirreni in delfini, per poi passare alle testimonianze degli imponenti commerci con i Paesi del Mediterraneo (altamente significativo è il frammento di tripode etrusco rinvenuto sull’acropoli di Atene), le anfore da trasporto ed il vasellame.
Il motivo di fondo è il parallelo tra Spina e la sua omologa tirrenica Pyrgi, in un continuo colloquio tra le testimonianze provenienti dai due siti che li rendono quali luoghi di confronto, accoglienza e integrazione con gli stranieri.
La penultima sezione è dedicata ai rituali funebri e, idealmente, introduce all’epilogo della storia di Spina: la fine di un vivace porto che risorge dalla sabbia grazie al ritrovamento casuale di un piccolo terminale in bronzo raffigurante Enea e Anchise che, fuggendo da Troia, attraversano quel mare che, purtroppo, è ancora color del vino…
Benedetta Tintillini