La Città di Todi dedica una sua strada a Curtis Bill Pepper e lo celebra con la mostra “Viaggio in Sicilia 1959 1961”, una selezione delle fotografie che lo stesso Bill scatta in Sicilia. L’arrivo di Bill e della moglie Beverly all’inizio degli anni Settanta a Todi segna una vera svolta per la cittadina umbra: la coppia, giornalista e scrittore di fama lui, scultrice volitiva e altrettanto famosa lei, introducono Todi agli Stati Uniti e all’Europa, rafforzandola come punto di riferimento per artisti anche internazionali e il mondo intellettuale e artistico cosmopolita. E certamente un dovere per la Città riconoscere il valore di Curtis Bill Pepper come cittadino d’onore, uomo di cultura, giornalista, reporter, ma toccante poter apprezzare il calore e sincera riconoscenza con cui lo fa.
Molto bene ha fatto John Pepper, curatore con me di questa interessante e particolare mostra fotografica di un fotografo/nonfotografo Curtis Bill Pepper (suo padre), curioso e ispirato giornalista, reporter e scrittore di best sellers (sette titoli), nello scegliere la foto che campeggia in copertina come icona della mostra che raccoglie il gruppo di “bianchi e neri” scattati da Bill in Sicilia tra il 1959 e 1961, base di una sua idea di guida alla Sicilia “vera” poi mai realizzata.
La foto immortala un carro dalle grandi ruote trainato da un cavallo con pennacchio lungo una strada di campagna dell’entro terra siciliano. Il carro, dalle fattezze tipiche dei carri siciliani, sta per superare una spider che ha accostato e dove si agitano dei certamente turisti da un paese lontano (deliziosa e fondamentale la nota del cappellino di paglia). In fondo si scorgono altri carri di lui emuli che di contro percorrono la stessa via.
La foto racchiude infatti in sé tutte le peculiarità e i talenti di Curtis Bill Pepper, soprattutto la sua capacità di raccontare quello che con prontezza e intuito sa vedere e cogliere in un momento.
Arruolatosi con la 5° armata statunitense e inviato in Italia con delicati compiti, alla fine della guerra si unisce alla lotta partigiana. Nel 1951 con l’United Press Service torna nel nostro Paese a cui ormai è legato da forti sentimenti per poi stabilirsi a Roma per la CBS. Dal 1956 per undici anni è capo redattore e corrispondente di Newsweek diventando, con le sue fulminanti interviste (dalle star del cinema internazionale ai Papi), tra i giornalisti più ascoltati dall’Italia. Sposa la scultrice Beverly Pepper e con lei diventano protagonisti della vivace vita intellettuale romana di quegli anni illuminata dalle grandi produzioni americane di Cinecittà. La loro casa di Trastevere è un punto di riferimento per amici come Federico Fellini o Gore Vidal, ma anche Gianni Agnelli. Sono un vero ponte “diplomatico” che fa conoscere l’Italia agli Stati Uniti, come anche gli Stati Uniti all’Italia rinsaldandone i legami culturali.
Sono anni in cui l’Italia, da poco uscita dall’incubo della guerra, con energia, ottimismo e voglia si getta nel futuro vivendo ancora un presente legato a tradizioni ancestrali e ad un’agricoltura ferma da secoli soprattutto nel meridione. Bill scende in Sicilia in viaggio per capire quel Paese, l’Italia, che lo affascina e sorprende, teatro dello sbarco dei suoi commilitoni che lo avrebbero poi liberato.
Come sempre porta con sé la sua Pentax, che più tardi sostituirà con una Nikon F.
Si, è vero Pepper si destreggia per natura con le parole e la scrittura, ma non può negare alla fotografia un ruolo importante nella sintesi del racconto, nel prendere al volo annotazioni che si trasformeranno in un reportage, un articolo, una storia, un saggio come ha appreso dall’amico e mentore, l’occhio del secolo, Henry Cartier Bresson.
Sono infatti le immagini che hanno portato il dramma e orrore della guerra nelle case della gente, a interessare sempre di più, e spesso ad essere più efficaci delle parole: Life negli Sati Uniti, Epoca in Italia e tante altre testate hanno rivoluzionato il mondo del giornalismo vestendo brevi articoli con grandi foto. Con una televisione ancora tutta da scoprire, e lungi dall’avvento di internet che ha poi devastato il mondo della carta stampata, è il momento di fotografi reporter come Robert Capa, Elliot Erwitt, Robert Doisneau, Margaret Bourke-White, Alfred Eisenstaedt, Joe Rosenthal.
In quella foto Bill compone il suo racconto con rara efficacia: la scena è presa di spalle così che l’osservatore venga risucchiato dalla sequenza del movimento impresso dagli elementi che in una prospettiva marcata tendono verso la piramide ottica della strada (il futuro). Il primo piano del carro descrive bene il lavoro antico dei campi, la sua lentezza ripetitiva. La sua ombra e quella dell’auto, stampate sulla banchina della strada, riempiono del colore del sole il bianco e nero affermando la meridionalità della scena.
La spider gode del contrasto tra i due mezzi e, seppur ferma, vive dell’agitarsi pacifico dei suoi viaggiatori, è il cambiamento verso il quale quella società si dirige. Intorno campi coltivati ed altri carri in direzione opposta confermano la vetustà di quell’agricoltura.
Il racconto è completo, intenso, convincente, lì c’è la Sicilia che ha visto Bill e così lui ce la narra proprio come in un suo articolo di un attimo.
In tutte e 50 le fotografie in mostra possiamo riconoscere questa stessa capacità di racconto sintetico e immediato, nel loro insieme “fotografano” perfettamente l’identità della Sicilia che a tratti permangono ancora oggi nella sua eredità culturale.
Bill scava nell’essenza dei caratteri, osserva il teatro della vita, ne cerca l’anima, le emozioni, e cuce da giornalista esperto quale è in ogni immagine un racconto ben strutturato: gli uomini che si incontrano tra di loro, che si guardano e passeggiano insieme con passo di potere, le donne che affermano la loro fierezza in quell’ambiente così maschile, i bambini che sono parte di quel mondo che vive senza pudore nella strada e interagiscono con gli adulti in una società più accogliente e ancora non individualista, la durezza e drammaticità dei lavoratori della miniera, ma anche la gioia della lentezza dei tempi della campagna, del tempo in cui ci si può abbandonare fatto di cose semplici e di fiducia nel futuro, ma anche di drammi che si nascondono in una tradizione spesso crudele e legata a riti arcaici.
Curtis Bill Pepper certamente conosce bene la tecnica fotografica, ma sceglie di non curarsene. Ha appreso da Cartier Bresson l’importanza di trasgredire l’accademia per dare forza con l’impressione ai valori della realtà che si vogliono trasmettere a chi “leggerà” quelle foto.
Ecco che rimane attentissimo, seppur nell’immediatezza del gesto di ripresa, alla composizione del fotogramma (specifico fotografico) come possiamo apprezzare ancora nella perfezione della foto dei lavoratori della salina bloccati in una straordinaria casuale, ma notata, citazione della danza di Henri Matisse. O ancora nella sfocatura della coppia che danza, che così l’astrae dal suo tempo dandole un movimento indefinito, eppure conservandone l’ingenuità di quella festa.
Modernissimo il taglio potente e perfetto del lavoratore nella pompa idraulica che diventa un meccanismo nel meccanismo. Perfetta la tensione del cavallo che traina la carrozzella con la bara il cui muso al vivo sembra voler uscire dall’immagine, mentre lascia dietro di sé la strada desolata di una vita dura.
Nelle foto nella miniera di zolfo, Bill registra una verità disperata, descrive l’oscurità sudata dello sprofondo di un lavoro disumano con un vibrato quasi concreto. Le figure umane diventano dei fantasmi in carne ed ossa che danzano con fatica sofferta una danza macabra.
Con incredibile delicatezza e serenità riprende momenti gioiosi dello stare insieme facendo trapelare la semplice concretezza di una società ancora ingenua che guarda la vita con speranza e ottimismo, ma che ha anche i suoi drammi retaggio di tradizioni primitive: gli incontri furtivi dei maschi forse mafiosi; la fatica di un voto forse non sincero; ma anche i bambini che assaltano con allegria e ammirazione la rara macchina da corsa arrivata lassù chissà come; la composizione pittorica dello “scuscià” in posa divertita con gli amici; il barbiere, figura centrale del paese, che taglia i capelli al baffuto maggiorente; la vivacità abile del parroco che racconta la sua parrocchia.
In una sua nota ritrovata fortunosamente tra le sue carte Curtis Bill Pepper scrive a proposito di queste foto: “queste immagini sono di una Sicilia vera, non quella delle note località turistiche, non quella delle rovine greche, né quella delle strade lastricate delle principali città dell’Isola. Ritraggono il cuore di quella terra, i paesi nelle montagne sbattute dal vento, il dramma intimo della vita dei villaggi e il retroterra a volte criminale delle sue città portuali. Una Sicilia conosciuta solo da pochi italiani e da ancora meno visitatori”