Le sofferenze dimenticate degli internati militari italiani durante la Seconda Guerra Mondiale: se ne è parlato in un incontro al Liceo Jacopone da Todi.
La ‘Giornata della Memoria’ è un’occasione per riflettere sulle responsabilità individuali e collettive, per non dimenticare le atrocità del passato e per garantire che non si ripetano mai più, per promuovere i diritti umani e la tolleranza, per combattere ogni forma di razzismo, antisemitismo e discriminazione. Ciò riguarda gli ebrei, ma non solo: in questa giornata si commemorano tutte le categorie di persone che hanno subito persecuzioni e violenze durante quel periodo, tutti i ‘diversi’ e coloro che erano considerati ‘inferiori’. La Shoah e le altre persecuzioni naziste sono state una tragedia che ha segnato la storia del mondo, ma va ricordato che le vittime provenivano da diverse categorie sociali e da diversi paesi. A Todi, nell’incontro di giovedì 30 gennaio 2025 al Liceo Jacopone, presso l’Aula Magna della sede centrale di Largo Martino I, si è parlato degli IMI (Internati Militari Italiani) col dottor Marco Terzetti, membro di A.N.E.I. (Associazione Nazionale Ex Internati nei lager nazisti) – Sezione di Perugia ‘Leopoldo Teglia’, e con il Maggiore dell’Esercito Carmelo Vitale, che, introdotti dalla Dirigente Scolastica Maria Rita Marconi, hanno presentato un video che ha raccontato la storia e le testimonianze dei familiari degli internati. Vicende che sembrano lontane, ma non lo sono, e hanno toccato l’Italia in modo capillare, tanto che si può dire, ha affermato Terzetti, che ogni famiglia ha un avo che è stato toccato da questa tragedia.
Una vicenda complessa e dolorosa, quella degli IMI, che merita di essere conosciuta e approfondita, e l’ANEI si prodiga affinché non vada smarrita la memoria di queste particolarissime vittime della brutalità del regime nazifascista.
Con la sigla IMI, ‘Internati Militari Italiani’, si fa riferimento ai circa 600.000 militari italiani catturati, rastrellati e deportati nei lager nazisti in Germania subito dopo la proclamazione dell’Armistizio dell’Italia, l’8 settembre 1943. Dopo il disarmo, i soldati e gli ufficiali italiani furono posti di fronte a una scelta: continuare a combattere nelle file dell’esercito tedesco oppure essere inviati in campi di detenzione in Germania. Circa 197.000 militari accettarono, per convinzione o per evitare la deportazione. Ma la maggior parte dei militari italiani scelse di non collaborare con i nazisti e per questo fu deportata nei lager. A questi militari fu negato lo status di prigionieri di guerra e furono classificati, appunto, come IMI (Internati Militari Italiani). Questa condizione li privò delle tutele previste dalle Convenzioni di Ginevra e li espose a trattamenti particolarmente duri. Gli IMI furono costretti a lavorare in condizioni disumane e molti di loro morirono a causa delle privazioni, delle malattie e delle violenze subite.
Varie le ragioni per cui avevano coraggiosamente rifiutato di collaborare coi nazisti e di aderire alla Repubblica Sociale Italiana. La loro scelta fu complessa, comunque legata rigore morale e dignità umana: c’erano soldati che avevano obbedito agli ordini e che si erano trovati coinvolti in una situazione più grande di loro, c’era chi voleva restare fedele al Re e chi aveva maturato decise convinzioni antifasciste, rifiutando la logica dell’imperialismo e della guerra.
Fatto sta che coloro che scelsero di non collaborare furono sottoposti a condizioni di vita estremamente dure: costretti a lavorare in condizioni disumane per l’industria bellica tedesca, esposti a malnutrizione e malattie, con pessime condizioni igieniche, violenze e umiliazioni fisiche e psicologiche, privati della loro identità e spesso impossibilitati a comunicare con le famiglie.
Oltre a queste forme di violenza diretta, gli IMI furono anche vittime di discriminazione e di un trattamento inumano da parte delle autorità naziste, che li consideravano inferiori e inaffidabili. La loro esperienza nei lager fu un vero e proprio trauma, sia fisico che psicologico, che lasciò segni profondi e duraturi nella loro vita. La vicenda degli IMI, vittime di una doppia ingiustizia, la guerra e la mancata applicazione delle tutele previste per i prigionieri di guerra, è stata a lungo trascurata e solo negli ultimi anni ha ricevuto la dovuta attenzione. L’intento degli incontri come quello di Todi è quello di sollecitare una memoria che non sia passiva, ma si traduca in un impegno attivo per difendere i valori di libertà, democrazia e solidarietà. La loro storia sollecita, infatti, a essere cittadini consapevoli e responsabili, pronti a contrastare ogni forma di razzismo, intolleranza e violenza. Il loro coraggio spinge a fare ognuno la propria parte, nell’impegno per un mondo più giusto e pacifico, per il rispetto dei diritti umani e l’affermazione della dignità di ogni persona, nella vita quotidiana e nell’azione politica e sociale. Solo così sarà possibile onorare veramente la loro memoria e costruire un futuro migliore per tutti.
Maria Vittoria Grotteschi