Lo scorso sabato 24 novembre, l’Abbazia di San Felice ha aperto le sue millenarie porte per una visita alla scoperta della storia e delle tante curiosità attorno all’uso dell’olio nel Medioevo. Un viaggio attraverso i vari ambienti dell’Abbazia, un tempo abitata da benedettini, francescani e agostiniani, per conoscere la storia del famoso olio “San Felice” e scoprire i tesori d’arte che questo luogo custodisce. Unitinerario tra storia, arte, architettura e olivicultura guidati da Erica Baciocchi che, con magistrale savoir faire, ha saputo incantare il suo numeroso pubblico accompagnandolo in un vero e proprio salto nel passato.
Alcuni luoghi parlano con voce distinta. Immersi nell’amenità della loro più intima essenza raccontano di un tempo che fu, ove storia e leggenda, mito e realtà si fondono in fabule dai contorni sfumati.
Ameni luoghi di ritiro che esigono di essere conosciuti, vissuti, narrati. Location sempiterne che, nell’incanto della loro fascinosa beltà, seppure a noi vicine, nella frenetica routine quotidiana ignoriamo, ma che sono lì pronte ad accoglierci e a raccontarsi, a parlare di sé come da sempre fanno.
La visita era inserita all’interno del ricco palinsesto della kermesse “Le vie dell’Olio- Rievocazione della Festa della Frasca” la due giorni made in Giano dell’Umbria legata alla fine della raccolta delle olive e a sua eccellenza l’oro verde di Giano.
«La Festa della Frasca è una suggestiva parata che attraversa le strade del castello di Giano dell’Umbria. Ad aprire la sfilata un carro tirato da buoi che trasporta la frasca addobbata con cibi un tempo considerati molto preziosi dai contadini. Seguono il carro i partecipanti che vestono abiti d’epoca come il guazzarone, una tunica che veniva utilizzata per ripararsi dall’umidità e dal freddo, portando gli strumenti per la raccolta delle olive. Giunti in piazza del municipio esplode la festa con la degustazione della gustosa bruschetta con l’olio novello ed il vino delle colline gianesi dove sorge l’Abbazia di San Felice» ha spiegato la guida Baciocchi.
Collocata su una terrazza naturale alle pendici dei Monti Martani, a pochi chilometri da Giano dell’Umbria, in posizione isolata e dominante, sorge l’Abbazia di San Felice le cui origini sono ancora oggi oggetto di studio. La storia narra che il primo nucleo dell’abbazia risalga al IV secolo, con la costruzione di una cappella per custodire le spoglie di San Felice, vescovo di Vicus ad Martis e Martire sotto Diocleziano e Massimiliano. Dopo il lungo martirio del santo, testimoniato dai passio e raccontato in un paliotto ora custodito presso la Galleria Nazionale dell’Umbria ma precedentemente esposto per i cristiani analfabeti sull’altare, alcuni cristiani di Massa Martana decisero di seppellire le spoglie del vescovo. Partirono con un carro trascinato da due buoi che, ad un certo punto del cammino, si inginocchiarono: lo interpretarono un segno divino e lì costruirono la cappella.
Sopra questo “oratorio” nel XII secolo fu edificata la chiesa e l’annesso monastero, mentre secondo Ludovico Jacobilli, noto storico folignate, risale al 950 l’istituzione del complesso in concomitanza con l’insediamento di una comunità benedettina. Siamo nel 1373 quando papa Gregorio XI pone l’Abbazia di San Felice sotto la giurisdizione dell’Abbazia di Santa Croce di Sassovivo. Nel 1450 papa Niccolò V, volle riattivare le funzioni religiose da tempo sospese a causa della fatiscenza della chiesa, così affidò il complesso abbaziale alla Congregazione degli Eremitani di Sant’Agostino che ne presero possesso formale nel 1496. Numerosi in quegli anni furono gli interventi di restauro a cui fu sottoposta l’Abbazia: il chiostro, la sopraelevazione delle navate laterali della chiesa, l’aggiunta di una loggetta semicircolare al di sopra della navata centrale, una nuova facciata, l’innalzamento della torre campanaria e la costruzione del refettorio in passato ingresso principale.
Dopo essere stati accusati di immoralità ed evasione fiscale nel 1798, gli Agostiniani furono allontanati dall’abbazia ed i beni confiscati e devoluti al comune di Spoleto. Dopo gli Agostiniani fu la volta dei Passionisti. Nel 1814 il sacerdote romano Gaspare del Bufalo fondò, proprio nell’abbazia di San Felice, la sua congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue. La statua del sacerdote svetta imponente di rimpetto alla chiesa. A seguito della soppressione delle corporazioni religiose nel 1860, i missionari bufalini abbandonarono il complesso di San Felice per rientrarvi nel 1937. Da allora l’abbazia è custodita dai sacerdoti di San Gasparre.
Da un punto di vista squisitamente architettonico l’impianto è comune a chiese coeve della zona: San Gregorio Maggiore di Spoleto, San Silvestro e San Giacomo di Bevagna e San Pietro di Bovara. Queste chiese hanno caratteri stilistici e costruttivi comuni, quali: pianta a tre navate absidate, presbiterio rialzato con cripta sottostante e finestra trifora sulla facciata. La fisionomia attuale della chiesa è il risultato di un restauro purista realizzato nel 1950 che ne ha abolito tutti i caratteri barocchi testimoniati da due foto attualmente custodite nei locali dell’Abbazia. Furono soggetti al restauro purista: la facciata, in pietra bianca e rosa della cava di San Terenziano, che attualmente è a capanna con una trifora al centro, il portale d’accesso strombato con archi a tutto sesto e architrave in travertino decorato con foglie. L’interno è diviso in tre navate. Il presbiterio e le tre absidi sono separati dal resto della chiesa da una ripida scalinata in travertino. Sotto il presbiterio c’è il cuore della chiesa la cripta nella quale vennero reimpiegati reperti romani appartenenti alla scomparsa “Città Martana”. Definita cripta ad horatorum è divisa in tre navate, ha numerose colonne e cinque campate.
«All’interno della cripta, soprattutto sui capitelli, gli scalpellini si sono divertiti a lasciare disegni arcaici e primitivi che troviamo nei vestiari medioevali» ha spiegato Erica Baciocchi. Dietro l’altare troviamo la tomba che conserva le ceneri di San Felice. Si tratta di una sorta di tabula ansata rimasta anepigrafe sopraelevata su quattro colonnine cosi da permettere ai fedeli di “strisciarci” sotto ed avere un contatto diretto con la reliquia del Santo a cui erano associate miracolose doti guaritrici soprattutto per malattie reumatologiche. Il chiostro è a pianta rettangolare ed è costituito da pilastri di mattoni. Si compone di due loggiati sovrapposti e all’interno del rettangolo ha una cisterna per la raccolta delle acque piovane. Il chiostro, ad eccezione della chiesa che presenta solo un misero frammento di affresco, è dipinto da una serie di affreschi dal gusto e dalla fattura molto rozza e casareccia, molto probabilmente realizzati da un frate dell’abbazia tale Giuseppe Franciosi che si dilettava nell’arte della pittura. Da un lato del cortile, tra gli affreschi, troviamo in sequenza cronologica le principali vicende biografiche della vita di San Felice e la costruzione dell’Abbazia; dall’altro lato, invece, gli affreschi hanno come protagonista San Gaspare del Bufalo.
Nella parte del complesso abbaziale che dava verso i latifondi, in passato c’era un mulino. I monaci infatti furono (e sono) grandi produttori di olio che utilizzavano, non solo per condire i pasti, ma anche come combustibile per l’illuminazione, come unguento e solvente per i loro prodotti tra i quali per fama e virtù si distingue il Balsamo Samaritano realizzato con olio, vino e albume d’uovo, efficace per decongestionare e sfiammare. Dell’ulivo non si buttava via nulla e le foglie, infatti, venivano utilizzate nei decotti o ridotte a cenere come antinfiammatorio. Attualmente l’olio San Felice, prodotto solo ed esclusivamente nella zona dell’Abbazia, è tra i più pregiati.
di Katia Cola