Dal 2 luglio al 24 ottobre 2021, al Museo di Roma a Palazzo Braschi, si terrà la mostra fotografica Adolfo Porry-Pastorel – L’altro sguardo. Nascita del fotogiornalismo in Italia, la prima esposizione personale dedicata al ‘padre’ dei fotoreporter italiani, nonché al progenitore dei ‘paparazzi’.
Adolfo Porry-Pastorel – L’altro sguardo. Nascita del fotogiornalismo in Italia regala la scoperta di un fotografo, giornalista, testimone di immenso talento, che ha forgiato un modo di raccontare il nostro tempo.
La mostra, a cura di Enrico Menduni, è promossa, ideata e organizzata da Istituto Luce Cinecittà con Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, in collaborazione con Archivi Farabola, Archivio Vania Colasanti, Fondazione di studi storici Filippo Turati. Servizi museali Zètema Progetto Cultura.
Il percorso espositivo
La mostra si compone di oltre 80 scatti, provenienti dall’Archivio storico Luce (che conserva 1700 negativi di Pastorel e più di 180.000 immagini della sua Agenzia fotografica VEDO) e da altri importanti fondi, come l’Archivio Fotografico Storico del Museo di Roma, e gli archivi Farabola, Vania Colasanti, Fondazione Turati, illustrano, in un percorso cronologico e creativo, arricchito da preziosi filmati d’archivio, stampe originali, documenti inediti e oggetti personali, la vita, gli scatti, i rapporti e le diverse passioni di Adolfo Porry-Pastorel. Fotografo, giornalista, reporter, dagli anni Dieci ai Quaranta del Novecento con la sua macchina fotografica e alla guida della sua agenzia VEDO riuscì a essere ovunque, dando vita, con le immagini inviate a giornali e rotocalchi, a un racconto inedito e sorprendente della storia d’Italia.
Classe 1888, professionista fotografo a 20 anni prima al ‘Messaggero’ poi al ‘Giornale d’Italia’ e ‘La Voce’, sperimentatore ardito di tecniche di stampa e trasmissione delle immagini, e di stratagemmi infiniti per procacciarsi eventi e scoop, tra le due guerre Adolfo Porry-Pastorel è riuscito a passare per ‘il fotografo di Mussolini’ e contemporaneamente per un fastidioso
scrutatore del regime. Ha avuto accesso alle stanze più intime del governo e del potere ed è stato attenzionato dalla censura fascista. Ha dato a milioni di italiani la cronaca viva di grandi eventi storici e politici, e ha raccontato come pochi il costume, la leggerezza del tempo libero, le nuove abitudini degli italiani. Ha posto le basi del fotogiornalismo, narrando il dietro le quinte della politica e del quotidiano.
Nel 1908 a soli 20 anni fonda la sua agenzia, dal nome programmatico: V.E.D.O. – Visioni Editoriali Diffuse Ovunque. Un acronimo per comunicare la sua velocissima ubiquità. Inventore di proto-marketing, il biglietto da visita di Pastorel era uno specchio da borsetta per signore, con sul retro il telefono dell’agenzia da chiamare subito in caso di avvenimenti di cronaca. La variante maschile, un orologio da tasca, era data in regalo ai vigili urbani.
Le foto in mostra ci raccontano la doppia anima dello sguardo di Adolfo Porry-Pastorel: da un lato l’attento, fulminante cronista di costume popolare, dall’altro la cronaca del potere politico. Che tra gli anni Venti e Quaranta in Italia ha un solo protagonista, Benito Mussolini. Col duce, Porry-Pastorel intrattiene un rapporto dialettico, fatto di scambio e profonde diffidenze. Era di Pastorel lo scatto celeberrimo di Mussolini arrestato nel 1915 e malamente portato via durante una manifestazione interventista, una foto che il futuro dittatore non gli perdonerà mai (e che sarà però al tempo stesso una sorta di trofeo per lui da esibire). Uno scambio di battute tra i due dà la misura: ‘Sempre il solito fotografo’ – ‘Sempre il solito Presidente del Consiglio’. Ma Pastorel consegna alle tipografie alcune foto che diventano emblemi della rappresentazione mussoliniana: come quelle del duce impegnato a torso nudo nella trebbiatura, durante la Campagna per il Grano, note a noi ancora oggi, oppure con il figlio Romano issato sulle spalle, iconografia pura di una propaganda familista. Il fotografo ha una tale familiarità col capo del governo da accedere nei suoi soggiorni in vacanza, o da permettersi quanto di più proibito: fotografare il duce di spalle, addirittura inquadrando con malizia il palchetto che ne solleva la statura. Oppure mostrando Mussolini che ride. Un’immagine del tutto irrituale, rarissima, che questa esposizione ci regala.
Ma Pastorel è anche l’autore di un epocale reportage sul ritrovamento del corpo di Giacomo Matteotti, il più grave caso di omicidio politico della prima metà del ‘900 in Italia, massimo momento di crisi per il fascismo. Sono immagini di una precisione comunicativa straordinaria, da maestro del reportage.
O ancora fondamentali sono gli scatti della marcia su Roma e dell’avvento del fascismo, grazie ai quali oggi osserviamo il formarsi degli schemi comunicativi e dei riti della dittatura.
Il fotografo è presente di persona e con i collaboratori della VEDO nelle occasioni ufficiali e ufficiose che contano. Un aneddoto sulla sua capacità di penetrazione è la presenza durante la storica la visita di Hitler in Italia nel 1938, con l’esibizione a Napoli di una flotta non così numerosa come Mussolini diede a vedere all’alleato. Nell’occasione Pastorel perfeziona un audace sistema di trasmissione delle immagini all’agenzia di Roma: i piccioni viaggiatori.
Pastorel mostra le contraddizioni del regime senza riserve: smonta i trionfalismi, celebrando però i ‘backstage’. Immortala le risate dei gerarchi, la bassa statura del Re, il conformismo oceanico delle adunate di piazza, rompe il cerimoniale riprendendo i protagonisti in pose più disinvolte e inaspettate. La sua foto non giudica, ma nessun altro fa in quegli anni un tale uso di ironia, inquadrature inusuali, composizioni irrituali. Le foto in mostra ci regalano puro giornalismo, racconto vivo e scattante dello spirito dell’epoca.
Altrettanto eccezionali e vivaci sono le foto di Pastorel dedicate al costume, alla gente comune. È un’Italia non ingessata nella posa del regime, spesso in movimento, colta di sorpresa: ai bagni al mare, nei caffè, nelle inaugurazioni di gala, nelle cerimonie pubbliche, i comizi, matrimoni, funerali; il varo di un dirigibile, al circo, sul set di un film, nelle passeggiate, nelle nozze di sposini autarchici che vanno in chiesa in bici. Un filo sembra legare le foto politiche a quelle popolari, i ritratti di Primo Carnera in pantaloncini, di Mussolini
e Ciano in spiaggia in costume, delle signore al mare. Nelle foto di Pastorel con sottile sovvertimento, il potere si dissacra, mentre la vita quotidiana si fa rito. Messinscena curata, sacra e laica.
Come la tipica immagine dell’Istituto Luce tendeva a mettere in posa i concittadini, mostrando propagandisticamente come il Fascismo e Mussolini fossero dovunque, in ogni aspetto della vita e della società, in maniera simile le foto di Pastorel e dell’agenzia VEDO comunicano che il fotografo è ovunque, pronto a ritrarre il paese in contropiede. Mentre il Luce costruisce la storia, Pastorel compone una controstoria. Una versione indiscreta, viva, rivelatoria dell’Italia.
Con la caduta di Mussolini il 25 luglio 1943, e soprattutto con la perdita dell’amato figlio Alberto, anche lui fotografo, inviato nella tragica campagna di Russia da cui non tornerà più, Adolfo Pastorel subisce un contraccolpo. L’ambito in cui si è mosso a grande velocità è mutato, un’epoca che lui ha fissato con la macchina è conclusa. Appende la macchina al chiodo, restando tuttavia a gestire l’agenzia Vedo e i suoi collaboratori, allievi divenuti in alcuni casi affermati professionisti.
L’ultima parte della mostra ci racconta di una nuova vita di Adolfo Porry-Pastorel, nel felice ritiro di Castel San Pietro Romano, borgo di cui diverrà sindaco e promotore per il cinema. È qui infatti che Pastorel consiglierà a Vittorio De Sica, protagonista del film con Gina Lollobrigida, di far girare Pane, amore e fantasia. Il successo epocale della pellicola farà tornare troupe per altri titoli celebri. Il ritratto insieme a De Sica racconta di un amore non secondario di Pastorel per il mezzo cinematografico, figlio della fotografia.
Mentre l’ultimo scatto in mostra è un testamento. La foto è di Pierluigi Praturlon, grande fotografo di scena, e ritrae Pastorel, con alle spalle e macchina alla mano Tazio Secchiaroli, altro grandissimo dell’obiettivo e prototipo del paparazzo, nonché allievo del nostro fotografo. È un passaggio di consegne avvenuto al Congresso dei Fotoreporter del 1958, categoria di cui Pastorel è in quel momento presidente. Cinquant’anni prima aveva fondato la sua agenzia, e una nuova generazione di geniali reporter, paparazzi e poi grandissimi fotografi sociali, che hanno dato immagine alla seconda parte del secolo, rendeva omaggio a un loro capostipite.
Adolfo Porry-Pastorel – L’altro sguardo. Nascita del fotogiornalismo in Italia regala a pubblico, appassionati e studiosi la prima personale di un artista che sia per attitudine personale, che per ragioni storiografiche non ha ancora avuto l’attenzione e il peso che la sua opera e la sua influenza meritano. Negli scatti dell’esposizione troviamo i primi passi di una comunicazione di massa, sviluppata nei quotidiani e nei periodici di grande tiratura degli anni Venti e Trenta, quella della fotografia che racconta autonomamente un fatto senza necessariamente bisogno dell’accompagnamento di un testo, che è diventata primaria nei nostri anni. Si pensi solo ai social media. E regala l’arte della notizia, della rapidità dell’informazione, del raccontare un evento mentre sta accadendo. Infine, nel riportare a Roma un centro del reportage, mentre solitamente la si considera il luogo del servizio leggero, mondano e scandalistico dei paparazzi, l’esposizione salda il ruolo di un cronista a tutto tondo, che riesce a coprire tanto il piano del racconto politico e civile, quanto quello più popolare e di intrattenimento. Pastorel diventa così un grande narratore del suo e del nostro tempo, agile, intuitivo, visionario, senza steccati di genere. Le sue foto, alcune delle quali hanno più di 100 anni, così eccentriche, brillanti, interessanti, corrispondono incredibilmente a quanto noi cerchiamo oggi dall’informazione globalizzata: rapidità, visione, incisività. Le foto di Pastorel, antiche di decenni, risultano straordinariamente attuali, perché il canone della nostra attualità ha tra i suoi fondatori proprio questo meraviglioso reporter.
Completa il percorso espositivo una scelta di filmati storici dell’Archivio Luce, appositamente realizzati per la mostra, che danno il contesto storico e visuale degli anni di Pastorel.
E una preziosa collezione di documenti originali e oggetti appartenuti al fotografo. Tra questi spiccano una lettera di ‘segnalazione’ anonima di Pastorel come fotografo non gradito ad alcuni uffici del regime, una serie di album rilegati con fotografie selezionate da lui stesso, sia professionali che intime, e uno degli specchietti per signora usati come gadget pubblicitari.