La sua fama internazionale, anche se di nicchia tra gli anni ’60 e ’70, è stata mandata in frantumi nel 2001 dalla dinamite usata dai talebani per distruggere i suoi giganteschi Buddha che avevano superato indenni 15 secoli di storia e di conflitti. Quasi 15 anni dopo la provincia di Bamiyan, nel centro dell’Afghanistan, cerca di rimontare la china e di richiamare nuovi flussi turistici mettendo l’accento sulla sua relativa stabilità .
Il Parco nazionale di Band-e-Amir, il primo dell’Afghanistan, è stato inaugurato nel 2009, in occasione dell’Earth Day. L’area è famosa per la presenza di sei splendidi laghi dalle acque cristalline, dove si riflettono le sfumature di cobalto del cielo che avvolge le montagne dell’Hindu Kush.
“La prima cosa che percepisci è il senso di sicurezza”, racconta un turista australiano di origini afgane. catturato dal fascino dei luoghi. “E’ tutto incredibilmente tranquillo. Chiunque può andarsene in giro, di giorno come di notte. Nessuno gli creerà problemi”.
Ma i visitatori come lui sono pochi. Perché la provincia di Bamiyan è cinturata da territori infestati da scontri e violenze. Rischio di imboscate sulla strada e aerei da turismo assai rari rendono difficile spingersi sin qui. Per questo negli ultimi decenni il numero dei turisti stranieri è drammaticamente crollato, come spiega Mohammad Ibrahim, responsabile del turismo locale. “I turisti internazionali sono importantissimi per l’Afghanistan come per Bamiyan, ma per ora, a causa dei problemi di sicurezza, ci stiamo concentrando su quelli afgani. Loro non si preoccupano più di tanto dei problemi di sicurezza dell’Afghanistan”.
Grazie a questo fatalismo tipico degli uomini di grande spiritualità o, più banalmente, a causa di un’abitudine coatta imposta da quasi 40 anni di guerre ininterrotte e da un sostanzioso passato secolare di guerre e conflitti, interni ed esterni, un migliaio di turisti afgani visita ogni settimana Band-e-Amir nel periodo estivo. Non a caso la città di Bamiyan è stata eletta quest’anno capitale culturale dell’Asia meridionale. In attesa di una ripresa affidata al destino e alla volontà, ferocemente inaffidabile, degli uomini.
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