I complessi ipogei attualmente visitabili ad Orvieto sono tre, diversissimi tra di loro: il celeberrimo Pozzo di San Patrizio, il complesso del Mulino di Santa Chiara e, appunto, il Pozzo della Cava.
La rupe di Orvieto, oltre a conferire alla città il suo personalissimo skyline, ospita una serie interminabile di grotte e cunicoli (ben 1204 quelli censiti) scavati lungo 28 secoli di storia; da qui il fascino e la complessità del Pozzo della Cava che ospita, al suo interno, una serie di cavità artificiali di epoche molto diverse, da quella etrusca a quella rinascimentale.
Ci troviamo nel quartiere medievale di Orvieto, la parte quindi abitata da più tempo. Essendo impossibile l’espansione della città a causa della particolare conformazione della rupe, gli abitanti furono costretti a trasformare e riadattare i sotterranei, le cantine, in base alle loro esigenze contingenti; ecco spiegate le continue modifiche e trasformazioni delle cavità.
L’approvvigionamento idrico in caso di assedio è stata l’esigenza che ha causato la realizzazione di vari pozzi, il primo ad essere realizzato fu proprio il Pozzo della Cava.
Ma andiamo con ordine!
Il primo ambiente, al livello stradale (gli ambienti su strada erano adibiti a laboratori o stalle, i piani superiori erano adibiti ad abitazioni), ospita una fornace di ceramica di epoca medievale. E’ visibile la canna fumaria e parte del forno ed una serie di scarti di lavorazione del trecento e quattrocento, con lavorazione tipica orvietana, oltre ad alcuni oggetti utilizzati per la lavorazione e la cottura.
Scendiamo di livello ed iniziano le sorprese: un butto di epoca medievale (i butti erano piccoli pozzi interni alle case per gettare i rifiuti) dalla forma cosiddetta “a fiasco” dista meno di un metro da una tomba etrusca (in un colpo d’occhio un salto di mille anni!!!), ma proseguiamo ed arriviamo al pozzo: una meraviglia vera e propria, da lasciare senza parole, 36 metri di pozzo in fondo al quale si vede l’acqua di sorgente. Riscoperto dopo un lungo periodo di oblio, ne fu ordinata la chiusura nel 1600, e fu parzialmente riempito di materiali di scarto. Viene riportato alla luce e svuotato nel 1996. Siccome però qui niente è ciò che sembra, i pozzi in realtà sono due: un primo pozzo etrusco del quale ancora si leggono le pedarole (sorta di tacche alle pareti del pozzo che permettevano la discesa e la risalita puntando gomiti e piedi) ed il pozzo rinascimentale (molto più ampio e rotondo, quello etrusco era piccolo e rettangolare) ordinato da Clemente VII per l’approvvigionamento in caso di assedio. Mi piace inoltre ricordare che il Pozzo della Cava ha ispirato il Sangallo per la realizzazione del pozzo di San Patrizio.
Come già detto, nel 1600 ne fu ordinata la chiusura, si dice per problemi di ordine pubblico (pare fosse un ottimo posto per occultare cadaveri!). Una lapide fu posta a ricordo del pozzo, ma non una lapide qualsiasi! Anche essa ha il suo piccolo segreto: sul retro dell’iscrizione sono visibili dei fregi scolpiti in stile carolingio: probabilmente parte di un ambone di una chiesa.
Si scende ancora di livello e dopo il “cellaio” al pian terreno si accede al primo livello sotterraneo della tipica cantina orvietana, adibito ad ospitare i tini per la prima fermentazione del vino (oltre all’olio, le conserve ed, eventualmente, la neve) e dove si riempivano le botti che sarebbero state poi fatte rotolare lungo uno scivolo fino al locale posto ad un livello ancora sottostante dove le botti erano definitivamente collocate. Si può notare una parte di una conduttura in terracotta: niente è ciò che sembra! Lungo la rampa dove rotolavano le botti si apre una piccola cisterna etrusca, intonacata di coccio pesto.
La cisterna raccoglieva l’acqua piovana, preziosa scorta casalinga che, però, avrebbe stagnato al suo interno diventando inutile e, ancor peggio, dannosa… da qui un’altra curiosità: per evitare la proliferazione delle larve di zanzare e muovere l’acqua, le cisterne (ove possibile) si trasformavano in “allevamenti” di anguille!!! (poverette) al buio delle cisterne le anguille erano albine e pressoché cieche, e dalla carne particolarmente tenera e pregiata.
Una curiosità sugli animali “domestici” degli orvietani fino a non moltissimo tempo fa: i gufi erano allevati in cattività, tenuti incappucciati durante il giorno, e liberati nelle cantine per cacciare i topi, ed era anche molto comune tenere in cantina una serpe, sempre per lo stesso motivo. Altro che animali da compagnia!
Proseguendo si vede un altro piccolo butto a pareti verticali. I butti sono veri e propri tesori per ricostruire la storia e la quotidianità di un’epoca. Nei butti venivano anche sepolti, oltre ai rifiuti, gli oggetti appartenuti ai morti di peste: non scarti quindi, ma gioielli o oggetti di uso comune.
In un’altra stanza è visibile la base di un’altra piccola fornace rinascimentale detta “muffola”, ovvero una fornace per il terzo fuoco. Il terzo fuoco, ovvero la terza cottura, era quella necessaria per l’applicazione dei lustri. Sono visibili anche una serie di frammenti con diverse lavorazioni della ceramica orvietana dal duecento al cinquecento. Anche in questa stanza un pilastro di una casa torre medievale convive con una parte di scavo di origine etrusca e con la fornace, appunto, rinascimentale.
Si giunge infine all’ultima stanza, la meno leggibile, sia nell’uso originario che nelle tante trasformazioni: mi trovo davanti in un ambiente delimitato da una parete di tufo, di fronte a me, ed un muro di tufo alle mie spalle. Il crollo della strada sovrastante rende necessaria l’erezione del un muro alla fine del ‘700. Tale muro però viene realizzato con il tufo della parete, rendendone pressoché incomprensibile la morfologia precedente. Si vede una volta rinascimentale su un butto medievale, e sulla parete tufacea delle piccole stanzette con una nicchia a lato: si presume siano delle sepolture rupestri, immaginando la parete all’esterno e non inglobata in un edificio come ora si presenta. Si leggono anche le scale etrusche ad un solo piede per l’accesso alle tombe lungo la parete. Vasche con intonaco di origine medievale forse erano utilizzate dalle concerie.
La funzione del pozzo “Nr. 2”, presente in questa stanza, è ancora incomprensibile. Forse si tratta di un complesso di cisterne incompiute.
Il complesso del Pozzo della Cava, pur essendo monumento nazionale è di proprietà privata, della famiglia Sciarra. Al lavoro, la passione e alla dedizione del signor Terzilio prima, e di Marco poi, dobbiamo la fortuna ed privilegio di poter ammirare una tale quantità di testimonianze della città attraverso più di mille anni di storia e di vita.
Molti argomenti sono stati toccati in un così breve testo, ognuno dei quali meriterebbe un approfondimento per suo conto . Come in un gioco di scatole cinesi soddisfatta una curiosità se ne stuzzicano altre cento… ed è impossibile essere esaurienti. Marco, che ci guida, racconta della vita di tutti i giorni nel quartiere medievale, della trascuratezza delle abitazioni, e dell’usanza di alzare delle facciate fittizie davanti alle case in occasione delle visite papali, della particolarità dell’unica chiesa barocca sopravvissuta ad Orvieto proprio di fronte all’ingresso del Pozzo della Cava, delle ceramiche orvietane a cavallo fra il duecento ed il cinquecento… insomma, non resta che visitare Orvieto ed il Pozzo, e lasciarsi affascinare da tutte le storie che questo tufo è in grado di raccontare.
di Benedetta Tintillini