di Benedetta Tintillini
L’alta Tuscia, territorio ancora pressoché inesplorato dal punto di vista archeologico, è oggetto di campagne di scavo che non cessano di sorprendere anche gli esperti del settore.
Nell’area di Civitella d’Agliano, precisamente in località Spoletino, proprio in questi giorni si è conclusa la quarte campagna di scavo durata ben sei settimane, che si è rivelata una vera e propria miniera di reperti ed informazioni sollevando, come in un gioco di scatole cinesi, nuove curiosità e nuovi interrogativi.
Ne parliamo con il prof. Marcello Spanu, professore di Topografia Antica dell’Università di Roma 3.
Innanzitutto professore, quando è iniziato lo scavo e cosa stavate cercando?
Lo scavo è iniziato quattro anni fa, in occasione di un progetto di studio territoriale della zona durante il quale è stata rilevata una struttura di dubbia tipologia. La Sovrintendenza ha voluto approfondire le ricerche e subito ciò che abbiamo trovato è andato oltre ogni nostra aspettativa: abbiamo appurato che la struttura oggetto delle nostre indagini è una cisterna di epoca romana, non solo, ma che, con le sue dimensioni di 40 x 15 mt, è la più grande in ambito rurale di tutta l’Etruria.
Alle campagne di scavo condotte fino a questo momento hanno partecipato studenti, laureati e dottorandi delle Università di Roma Tre, della Tuscia, Sapienza – Roma, Bari, Salerno, Perugia e Madrid.
A prima vista sembrerebbe una cisterna come già ne sono state rinvenute molte…
Sembrerebbe, sì, ma il sito ha rivelato molto, molto di più. La cisterna, dapprima un locale unico, è stata divisa in un secondo tempo da un muro, e parte di essa ha perso la sua funzione originaria diventando un enorme discarica. Anche in questo caso, però, nulla a che vedere con le discariche consuete, dove è possibile ritrovare frammenti di suppellettili miste ad avanzi di cibo; siamo davanti ad un unicum, una discarica di oggetti, alcuni integri ed alcuni ricostruibili, tutti della stessa epoca e tutti provenienti, supponiamo, da una villa che dovrebbe trovarsi nelle vicinanze del sito.
Di quali tipologie di oggetti stiamo parlando?
Sono oggetti di uso quotidiano, come detto sicuramente pertinenti alla villa che veniva servita dalla cisterna di nostro interesse. Oggetti in ceramica, vetri e metalli, tutti coevi, siamo in epoca neroniana, a metà del I secolo dopo Cristo. Tali presenze stanno a dimostrare che non c’è stata una stratificazione temporale: qualcuno si è disfatto di tutti questi oggetti simultaneamente, per motivi che sono tutti da indagare. Da qui l’eccezionalità della scoperta: una quantità e qualità tale di materiale rinvenuto che è possibile trovare solo nei più grandi siti archeologici italiani.
Gli oggetti raccontano porzioni di vita delle persone a cui sono appartenuti, ci racconta un po’ più in dettaglio cosa avete trovato?
Con piacere, parliamo innanzitutto delle anfore: abbiamo trovato anfore da trasporto provenienti da tutto il Mediterraneo, Grecia, Spagna, Francia, Tunisia ed Istria, e ciò apre nuovi orizzonti di studio riguardo alla navigabilità del Tevere ed alla capacità di spostamento delle merci in epoca romana, oltre a denotare la grande disponibilità economica del proprietario che poteva permettersi di acquistare le migliori merci in circolazione. Desidero sottolineare l’eccezionalità del numero di pezzi rinvenuti, per dare un termine di paragone, tenga presente che fino ad ora in tutta Italia si contavano sette anfore di Spello giunte integre fino ai giorni nostri, in questo sito ne abbiamo ritrovate una trentina.
Di enorme interesse scientifico anche la ceramica da fuoco: sono state ritrovate intere “batteria da cucina” pentole, ciotole, tegami, olle in terracotta, di diverse dimensioni ed integre, oltre ad un gran numero di ceramiche per la dispensa, tra le quali abbiamo avuto la fortuna di trovare, cosa rarissima, ancora integra un’olla perforata, ovvero un vaso con dei buchi utilizzato come vaso per piante.
Abbiamo inoltre rivenuto un’ingente quantità di oggetti in ceramica sigillata per la mensa, alcuni provenienti dalla vicina Scoppieto, altri provenienti da altre parti d’Italia; anche in questo caso abbiamo degli esempi singolari e di assoluta rilevanza, su alcuni di essi è possibile vedere, graffite sotto la base, le iniziali dei proprietari, ed una ciotolina riporta inciso a mano, sul bordo esterno, il nome del suo possessore: Saturnini, mentre un altro pezzo con una foggia fino ad ora completamente sconosciuta presenta una forma chiusa a forma di negroide.
Una chicca, infine, che ci ha davvero sopreso tutti: è un piccolo contenitore per liquidi in terracotta a forma di maialino, di uso molto incerto: potrebbe essere una salsiera da tavola oppure, addirittura, un “biberon”…
Conoscete quale fosse l’uso originario della cisterna?
Questo è un altro punto interrogativo che potrebbe portare a nuove, sorprendenti scoperte: le colture classiche della zona quali vite, olivo e grano non necessitano di irrigazione quindi la presenza di una tale cisterna non sarebbe giustificabile. A tale scopo il laboratorio di biologia applicata ai beni culturali di Roma sta analizzando dei campioni di terra dove, fortunatamente, è stata rilevata anche la presenza di pollini che potranno raccontarci molto sulla flora presente all’epoca.
Quale sarà il futuro di tutto questo prezioso materiale?
Ci troviamo davanti a circa 40.000 frammenti che devono essere debitamente restaurati e studiati, e non nascondo le difficoltà con le quali ci troviamo a lottare ogni giorno. Io e le mie collaboratrici, il mio braccio destro, la dottoressa Tiziana Mastracci, l’unica restauratrice, la dottoressa Sara Carannante inseme al team, coordinato dalla dottoressa Emanuela Borgia, che sta studiando parte del materiale ceramico, godiamo dell’appoggio della Sovrintendenza nella persona della dottoressa Maria Letizia Arancio, e sicuramente non è poco. La scarsità di mezzi è il primo problema che lamenta la ricerca in Italia, è cosa nota, ma mi preme sottolineare che i professionisti coinvolti nei progetti come questi lavorano in condizioni difficili, come ad esempio la carenza di spazio che non ci permette un adeguato studio dei reperti. In questo caso specifico il Comune di Civitella di Agliano ci ha permesso di utilizzare un edificio del centro storico come magazzino, ma l’enorme quantità di pezzi ritrovati lo rende inadeguato. Senza parlare poi delle fasi successive a quella di studio e restauro: l’assoluta rilevanza del materiale rinvenuto meriterebbe una adeguata musealizzazione, che renderebbe i reperti fruibili dal grande pubblico e che sarebbe, sicuramente, anche un polo di attrazione per il territorio, data l’eccezionalità dei ritrovamenti.