Dopo un lungo e delicato restauro, finanziato dal quotidiano giapponese Yomiuri Shimbun e curato dai tecnici dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, è ora ritornata sopra l’altar maggiore della Chiesa di San Carlo dei Lombardi (in via Calzaioli, di fronte a Orsanmichele) la grande tavola dipinta nell’ultimo ventennio del XIV secolo da Niccolò di Pietro Gerini e raffigurante la Deposizione e Resurrezione di Gesù.
Di proprietà delle Gallerie Fiorentine, la Deposizione di Gerini misura 408 cm di altezza per 286 di larghezza ed è stata svelata ai fedeli prima della Santa Messa delle ore 18 di Giovedì Santo; il ritorno alla visione pubblica, potrà consentire anche di fornire nuovi elementi alla conoscenza dell’attività di Niccolò di Pietro Gerini (documentato a Firenze tra il 1368 e il 1414), uno dei maggiori protagonisti della stagione del neogiottismo di fine Trecento.
“Un’altra opera molto importante del patrimonio delle Gallerie Fiorentine – ha detto Paola Grifoni, segretario regionale del Mibact per la Toscana – torna a occupare uno spazio di grande rilevanza sopra l’altare di una delle chiese storiche del centro di Firenze. L’impegno dei funzionari dell’ex-Soprintendenza per il Polo Museale Fiorentino e dell’Opificio delle Pietre Dure, con il sostegno degli Amici dei Musei Fiorentini, ha permesso il completo recupero di un’opera di grande valore storico artistico e di innegabile suggestione religiosa”.
“Nei giorni in cui la Chiesa si appresta a celebrare la ricorrenza della Pasqua – ha aggiunto Maria Sframeli, responsabile delle opere in deposito esterno per l’ex Soprintendenza per il Polo Museale Fiorentino – si è voluto far tornare in San Carlo la grande tavola con la Deposizione e Resurrezione di Cristo di Niccolò di Pietro Gerini, eseguita negli anni Ottanta del Trecento e, dopo il restauro, opera cardine per la riconsiderazione dell’attività del pittore”.
“L’Opificio delle Pietre Dure di Firenze ha ultimato il progetto di conservazione collaborando alla ricollocazione del grande dipinto nella chiesa di San Carlo. Si è trattato di un progetto molto complesso sia per le dimensioni dell’opera (cm 408 x 286), sia per le gravi condizioni conservative – ha affermato Marco Ciatti, soprintendente dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze -. Siamo sicuri che la restituzione dell’opera al pubblico ed agli studiosi segnerà l’inizio di una nuova fase di studio e di valutazione di questo bel dipinto, grande come una delle celebri Maestà, ma molto meno apprezzato sinora. Speriamo dunque che il restauro possa contribuire non solo al recupero ed alla trasmissione al futuro di quest’opera e dei suoi significati, ma anche alla sua riscoperta”.
“La Deposizione di Gerini, musealizzata nel ‘700 ed esposta agli Uffizi e all’Accademia – ha sottolineato Antonio Godoli, direttore del Museo di Orsanmichele -, ritorna nei luoghi per cui, secondo Vasari, fu dipinta; attestandone la sua natura come bene artistico e storico, di devozione e culturale insieme.”
“La pala del Gerini raffigurante la Deposizione di Gesù – ha ricordato monsignor Giancarlo Corti, proposto del Capitolo della Cattedrale di Santa Maria del Fiore da cui dipende la Rettoria di San Carlo – dopo il restauro è stata ricollocata nell’abside cella della Chiesa di San Carlo. Il ritorno coincide con la celebrazione della Settimana Santa e della Pasqua, i giorni in cui la Chiesa contempla il mistero della Passione e morte in croce, la deposizione e Resurrezione di Gesù. Questa opera, che ha ritrovato il suo splendore nel restauro, quindi non arricchisce la Chiesa solo come un’opera artistica di grande valore, ma anche nel suo significato religioso e di Fede. La sua collocazione centrale la rende ben visibile da chi passa da via Calzaioli, essendo un’immagine che si fa vedere e che attrae. Siamo grati infine – ha concluso Monsignor Corti – a quanti hanno curato sia il restauro, sia la sua ricollocazione”.
Lo studio ravvicinato dell’opera, le indagini diagnostiche e la nuova e più chiara lettura del dipinto hanno inoltre consentito alcune nuove riflessioni sulla natura e sulla funzione originaria dell’opera.
Lo scarso spessore del tavolato, la presenza in basso di una fascia decorativa del tutto simile a quella in uso al tempo nelle pitture murali (i due stemmi con il simbolo di Orsanmichele sono aggiunte posteriori), la presentazione opaca della superficie, conducono a pensare che l’opera fosse inserita in un contesto pittorico compiuto con tecniche di pittura murale alle quali il Gerini si è qui adeguato nella sua tavola.
Dopo la fase delle indagini diagnostiche, volte ad accertare la tecnica artistica antica e a connotare i vari materiali presenti sull’opera, è stato messo a punto un progetto complessivo di conservazione che unisce un consistente intervento di restauro con dei provvedimenti di conservazione preventiva. Il restauro ha infatti interessato sia la struttura lignea, sia la superficie pittorica, richiedendo molto impegno e molto tempo, considerate le dimensioni del dipinto.
Oggi concordemente attribuita a Niccolò di Pietro Gerini, la tavola è ricordata da Vasari (1568) nell”‘oratorio si San Michele in Orto” come opera di Taddeo Gaddi. Secondo Giovanni Poggi (1895) sarebbe stata spostata nella collocazione attuale nel 1526, quando venne disfatto l’antico altare.
A seguito di ricerche d’archivio, la studiosa Diane Finiello Zervas (2003) ritiene invece di considerare l’ubicazione nell’attuale San Carlo come originaria in quanto il Santo dedicatario di quella chiesa era al momento della sua costruzione San Michele arcangelo e la cappella maggiore era di patronato della famiglia Pilli, la cui arme (“di rosso al palo di vaio cotissato d’oro”) è ancora visibile sopra l’arco della tribuna e nella volta della cappella.
Stando alle fonti, l’opera fu rimossa dall’altar maggiore nel 1616, quando la chiesa passò alla Compagnia di San Carlo dei Lombardi, devota a San Carlo Borromeo, e fu sostituita dalla grande pala di Matteo Rosselli raffigurante il Santo. Trovò nuova collocazione nella parete interna sopra la porta d’ingresso; qui è citata da Cinelli (1677), Del Migliore (1684), Richa (1754) e Bottai (1759).
L’arrivo alle Gallerie fiorentine risale al 1781 ed è documentato nelle filze dell’Archivio Storico (Filza XIV, nn. 85 e 89) come legato alla costituzione nella Galleria degli Uffizi del Gabinetto delle Pitture antiche fortemente voluto da Luigi Lanzi. Per le sue notevoli dimensioni la tavola non potè essere sistemata nel corridoio, dove aveva sede la sezione, e fu per questo ricoverata nello spazio sul pianerottolo della scala che conduce dalla Galleria al Corridoio Vasariano.
Quando la Galleria dell’Accademia andò configurandosi come raccolta di tavole estratte nel corso delle soppressioni leopoldine e napoleoniche dei conventi, parve conveniente inviare all’Accademia la tavola del Gerini (Filza LXV, n. 34) e in cambio trasferire agli Uffizi la grande ancona di Nicolas Froment raffigurante Storie di Lazzaro.
Nell’ottica di una ricostituzione dell’antico arredo della chiesa di San Carlo, ormai nel corso del Novecento (1931), la tavola fu ricollocata nella sua antica sede, dove è nuovamente approdata in questi giorni, grazie anche agli Amici dei Musei Fiorentini che ne hanno finanziato il trasporto, dopo l’intervento di restauro dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze.