I sardi sono stati i più antichi produttori di vino nel Mediterraneo. Lo hanno stabilito gli studiosi dell’università di Cagliari che hanno illustrato il risultato delle loro ricerche in un convegno che si è svolto a Monastir, vicino al capoluogo, dove nel 1993 venne trovato un torchio per il vino.
L’esame dei residui organici rinvenuti all’interno del ‘torchio a torricella’ con vasca risalente all’Età del Ferro hanno stabilito che è stato utilizzato per spremere l’uva. La più antica coltivazione di vite venne scoperta alcuni anni fa, sempre in Sardegna, nel sito di Sa Osa, vicino a Cabras (Oristano), dove vennero trovati dei semi di vernaccia.
Quella illustrata nell’aula consiliare del municipio di Monastir, secondo i ricercatori dell’ateneo di Cagliari, è la prova non solo della coltivazione dell’uva, ma soprattutto della produzione di vino. Il torchio in arenaria venne trovato nel 1993 nel villaggio nuragico di Bia de Monti-monte Zara (900/850-725 a. C.) dall’archeologo Giovanni Ugas. E’ stato lo stesso professor Ugas a ricordare “il contesto straordinario che ha restituito manufatti nuragici e prenuragici”. Ma sono le analisi sui residui organici effettuate dall’equipe archeobotanica del Centro Conservazione Biodiversità dell’Università di Cagliari, guidata dal professor Gian Luigi Bacchetta, e dai ricercatori di Chimica degli alimenti, primo fra tutti il professor Pierluigi Caboni, ad aver confermato l’importanza della scoperta. “Abbiamo esaminato i frammenti ritrovati all’interno della vasca del torchio”, ha spiegato Caboni durante il convegno affermando che “è questo con certezza il reperto di questo genere più antico del Mediterraneo. Si tratta di una scoperta fondamentale”, ha sottolineato, “perché permette di fissare un tassello importante per individuare le prime produzioni vinarie: i sardi sono stati quindi i primi a produrre vino. Dalle analisi risulta con ogni probabilità una produzione di vino rosso”.
Intorno al manufatto sono state trovate solo tracce di terriccio: “All’interno invece – ha precisato Martino Orrù, ricercatore del Centro Conservazione Biodiversita’ – è stato individuato un agglomerato cristallino e dell’acido tartarico all’interno della vasca. Da li’ siamo partiti per le analisi che anno consentito la straordinaria scoperta”.
Credits: foto ANSA