Ars belli: la Biga di Monteleone di Spoleto

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La biga di Monteleone di Spoleto, da anni al centro di un contenzioso con il Metropolitan Museum di New York che la detiene dal 1903, è considerata un capolavoro assoluto dell’arte etrusca, scopriamone insieme i dettagli.

Rinvenuta nel 1902 insieme ad un ricco corredo, la Biga di Monteleone di Spoleto era sepolta sul Colle del Capitano all’interno del tumulo funerario di un principe locale. L’analisi stilistica effettuata e la presenza di due coppe attiche a figure nere, suggeriscono di situare il complesso funerario non oltre il 530 a.C. La biga risalirebbe invece al secondo quarto del VI secolo a.C. Lo stile dell’opera è tipicamente ionico: Dalla metà del VI fino agli inizi del secolo successivo le assidue ed intense relazioni con i centri  dell’Asia Minore occidentale, determinarono un profondo influsso sull’arte etrusca che si ispira alla tradizione ionica rielaborandone i contenuti mitici secondo le forme stilistiche originarie, ma con un proprio gusto ed una propria sensibilità.

La biga, commissionata da un principe del popolo del sacro fiume Nahar ad un artista di Perugia o di Chiusi, dimostra come il profondo respiro del Mediterraneo, avesse raggiunto i monti dell’Umbria recandovi gli echi degli eroi appartenuti al ciclo troiano.

Sebbene strumento guerriero, la biga di non aveva nulla a che fare con la guerra: era un simbolo aristocratico e, già ai suoi tempi, un reperto archeologico. Le descrizioni omeriche degli eroi “su ben costrutti carri” appartenevano ad un passato in cui la guerra si fondava sul valore personale più che sullo spirito di corpo. Bighe come quella di Monteleone servivano, infatti, per le parate in questo e nell’altro mondo. O per i ludi circensi. Il committente l’aveva voluta con sé nella sua ultima dimora, segno che intendeva presentarsi su di essa al cospetto degli dèi, come aveva fatto dinanzi al suo popolo. Il trittico dei pannelli che la compongono riassume l’ideale di vita del guerriero: l’iniziazione con la consegna delle armi, il combattimento glorioso ed la tanto ambita apoteosi finale che rende l’eroe un semidio.

La struttura della biga di Monteleone di Spoleto è realizzata in legno di noce, rivestita di lamine in bronzo come nel caso del timo e delle ruote ad otto raggi. Nel punto di attacco, il timone fuoriesce dalle fauci di un cinghiale, la sua estremità terminata con una testa d’uccello. Le estremità del giogo bronzeo sono foggiate in teste di serpenti. Il pannello centrale, reca al centro un grande scudo bilobo, che i latini chiamano ancile, il quale mostra, nella parte superiore, il “gorgoneion” : la testa della Gorgone, o Medusa dalle fauci spalancate. A sinistra dello scudo, una donna vestita da lungo chitone finemente istoriato, col mantello che le copre il capo; a destra un uomo barbato dai lunghi riccioli fluenti sulle spalle. La donna porge all’uomo le armi e queste le riceve afferrando l’elmo per la protezione nasale e lo scudo poco al disopra dell’incavo da cui, in battaglia, fuorisciva la lancia. La scena rappresenta Teti, divina figlia di Oceano, mentre consegna le armi ad Achille: il figlio natole dal tessalo Peleo, re di Ftia.

Il pannello di sinistra, invece, rappresenta il duello tra Achille e Memnon, figlio di Eos – l’Aurora “dalle dita di rosa” – parente di Priamo e re degli Etiopi. Questi, dinanzi alle mura d’Ilio aveva ucciso Antiloco, amico fraterno del Pelide. Nella scena raffigurata Achille colpisce Memnon al cuore mentre la lancia di questi si piega sull’elmo dell’eroe greco. La stessa scena si ripete su una delle coppe di vino  oggi custodite nel Museo di Napoli, trattasi di un skyphòs del VI secolo. A destra, infine, è rappresentata l’apoteosi di Achille che s’invola verso la Terra dei Beati su un carro simile a quello che il principe aveva portato con sé nella tomba. I due cavalli, Bàlios e Xanthos, raffigurati nel balzo, sono muniti di ali. Sotto le zampe dei cavalli, col braccio levato quasi a proteggersi dal loro impeto, una donna: Polissena, la più giovane delle figlie di Priamo. La donna era stata sacrificata dopo la caduta di Ilio affinché gli dèi concedessero una felice traversata alle navi achee, e per placare l’anima di Achille, apparsa in sogno al figlio a chiedere il sacrificio della regale fanciulla.

Paolo Aramini

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