In Umbria la settima e ultima tappa della II edizione di “C’è Puzza di Gas”, la campagna di Legambiente che punta i riflettori sul problema delle dispersioni di gas metano e sulla dipendenza dell’Italia dalle fonti fossili
Secco “no” da parte dell’associazione ambientalista al progetto di realizzazione del Gasdotto Dorsale SNAM nella regione, candidata a diventare territorio di transito per più di 100 km di una delle infrastrutture del gas più imponenti in Italia
Accendere i riflettori sulla dipendenza dell’Italia dalle fossili e sui rischi legati alle dispersioni e agli sprechi di gas fossile, in particolare il gas metano (le cui emissioni dirette in atmosfera hanno un effetto fino a 86 volte più climalterante di quello della CO₂ su un arco di 20 anni); e lanciare un secco “no” alla realizzazione di nuove infrastrutture fossili in Umbria, e nella fattispecie al Gasdotto Dorsale della Linea Adriatica SNAM, infrastruttura (da realizzare entro il 2027) di 689 km che da Massafra (Puglia) arriverà a Minerbio (Emilia-Romagna), attraversando l’Umbria per più di 100 km. Con questi obiettivi fa la sua settima e ultima tappa a Foligno (PG), in Umbria, la seconda edizione di “C’è puzza di Gas”, la campagna promossa da Legambiente e sviluppata con il supporto di Clean Air Task Force (CATF) volta a informare e sensibilizzare sui rischi e sprechi di gas fossile. Due gli appuntamenti di tappa: quello di oggi pomeriggio con una tavola rotonda dedicata presso il Circolo Arci Subasio di Foligno (PG), per discutere della necessità di un repentino cambio di passo in direzione delle rinnovabili e tracciare una roadmap delle politiche che servono all’Umbria per garantire una transizione energetica, giusta e inclusiva. Il secondo, in programma domani mattina, ore 9.00, nella frazione di Colfiorito, con una passeggiata organizzata dal circolo locale (guidata da Giorgio Vitale) lungo il percorso del metanodotto che attraverserà l’appennino umbro marchigiano, passando per i piani di Annifo.
“ll progetto del gasdotto non solo non risponde alle presenti e future esigenze energetiche della regione e del Paese – dichiara Martina Palmisano, vice direttrice Legambiente – ma sottopone il nostro prezioso territorio a impatti e rischi rendendolo di fatto una servitù di passaggio per interessi economici che ci allontanano da quelli urgenti di sostenibilità ambientale. L’attuale Governo vuole infatti rendere la nostra penisola lo snodo fondamentale per l’approvvigionamento europeo del gas, mentre sappiamo bene che la transizione deve essere realizzata attraverso l’implementazione delle energie rinnovabili, dell’efficientamento energetico e delle comunità energetiche rinnovabili, che riducono la dipendenza dalle fonti fossili e le disuguaglianze economiche e sociali”.
Perché “no” al gasdotto SNAM in Umbria. Tornando al progetto del gasdotto si stima che questo dovrebbe trasportare circa 10 miliardi di metri cubi di gas (d’importazione estera) da sud a nord della Penisola. Il costo complessivo dell’opera, da realizzare entro il 2027, è di 2,5 miliardi di euro, finanziata in parte dal Repower EU e in parte dalle bollette di cittadine e cittadini. Un’infrastruttura che – sottolinea il Cigno Verde – è inutile, considerato che nel 2023 l’Italia ha già quasi raggiunto gli obiettivi di riduzione dei consumi di gas a 60 miliardi di metri cubi previsti al 2030, dimostrando un trend di inevitabile decrescita del fabbisogno (meno 20% dei consumi rispetto al 2021). Altro aspetto da considerare è che un gasdotto ha una vita media di 40-50 anni, tempi necessari a ripagare gli investimenti. Di fronte a questo scenario due i rischi possibili, o quello di rimanere dipendenti dal gas fossile ben oltre il 2050, dicendo addio agli obiettivi climatici, o di vedere l’infrastruttura inutilizzata facendo ricadere i costi del mancato guadagno sulle bollette della cittadinanza (rischio messo in evidenza anche da ENI nelle considerazioni nel piano decennale SNAM del 2019-2020). L’unica funzione del gasdotto è quella di esportazione del gas importato da Nord Africa e Medio Oriente verso il nord Europa, una prospettiva che però non considera la riduzione dei consumi che anche gli altri Paesi Membri dell’UE stanno avendo e che rappresenta un enorme pericolo per il clima.
“Per contrastare la crisi climatica e rispettare gli impegni dell’accordo di Parigi – dichiara Katiuscia Eroe, responsabile energia Legambiente – è necessario che l’Italia eviti la realizzazione di nuove infrastrutture a fonti fossili e firmi nuovi accordi legati alle estrazioni e importazioni (come fa con il Piano Mattei il Governo Meloni), puntando invece sulla decarbonizzazione del sistema energetico entro il 2035 e tutti i settori entro il 2040. In questa direzione è fondamentale costruire non solo economie a zero emissioni di CO₂, ma anche diminuire fino ad azzerare le emissioni dirette di gas metano, che l’IPCC, nella sua classifica delle tecnologie conosciute in cui analizza costi ed efficacia, inserisce al terzo posto nel raggiungimento degli obiettivi climatici al 2030. Per questo, però, serve che il Governo italiano superi la miopia che lo contraddistingue, a favore di normative nazionali stringenti che rendano obbligatori e veloci i controlli e gli interventi sulle perdite, che oggi gravano sulle bollette della cittadinanza. Il Regolamento europeo, in fase di approvazione definitiva da parte del Consiglio, è un passo avanti che, seppure in alcune parti lacunoso, può far guadagnare all’Italia, con la sua recezione, il ruolo di apripista su un tema poco conosciuto e dibattuto nelle agende politiche”.
Luci e ombre del regolamento europeo sulle emissioni di metano. La tappa in Umbria della campagna “C’è puzza di gas”, è l’occasione per discutere del regolamento europeo sulle emissioni di metano, approvato ad aprile 2024 dal Parlamento Europeo e in fase di approvazione definitiva del Consiglio. Nonostante il documento rappresenti un’importante passo in avanti, prevede – secondo il Cigno Verde – delle tempistiche troppo dilatate e non interviene in maniera sufficientemente ambiziosa. Basti pensare che prima del 2030 non verranno introdotti gli standard necessari sulle importazioni di gas, parametri che se applicati immediatamente potrebbero garantire un risparmio di 90 miliardi di metri cubi di gas, pari a 54 miliardi di euro l’anno evitando il 30% delle emissioni globali dal settore del gas e del petrolio. L’introduzione di questi standard dopo il 2030 è in pieno conflitto con gli obiettivi fissati nell’ambito della Global Methane Pledge, oltre che un’enorme occasione persa in termini di risparmio di risorse. A queste si aggiunge un diffuso ricorso alle eccezioni e l’intenzione di scaricare i costi dell’implementazione del regolamento sulla cittadinanza.