Tra oriente e occidente e tra simboli sacri e profani, l’abbazia di Santa Croce dei Conti Atti a Sassoferrato affascina per la sua storia ed il suo aspetto.
Probabilmente un presidio templare, non si non si conosce l’esatta datazione della fondazione della chiesa di Santa Croce: una prima tesi la riferisce ai Conti Atti, con una datazione posteriore al 1100, mentre uno scritto rinvenuto a San Vittore, di una causa intentata tra i vari commendatari della chiesa, farebbe risalire la costruzione della chiesa al 1090 e ancora alcuni studiosi, visti i capitelli che ornano le colonne, retrocederebbero la datazione addirittura dell’800.
La chiesa a pianta quadrata e croce greca, struttura tipica delle chiese romaniche, è costruita sopra un tempio dedicato al Dio Mitra, con materiali di recupero provenienti dalla città romana di Sentinum, mentre le colonne, realizzate con un granito grigio proveniente dall’Egitto, probabilmente provengono da Castelleone di Suasa.
All’interno una statua in terracotta di San Rocco, mancante del cane rubato tantissimi anni fa, proviene dalla bottega dell’Agabiti. Il santo francese, protettore contro la peste, indossa la conchiglia, simbolo dei pellegrini, perché fu colui che iniziò il cammino verso Santiago di Compostela.
Provenienti da Sentinum un’urna cineraria (nella città romana non è stata mai trovata la necropoli, probabilmente perché i Romani fecero loro l’usanza dei Galli di cremare i defunti), una lapide funeraria di due liberti divenuti personaggi di rilievo della città.
Tra le curiosità presenti all’interno della chiesa la dicitura errata scolpita sopra il tabernacolo del Salvatore dove si legge “Corpus Domini” con una “r” aggiunta a correzione ed il famoso capitello “osé” che, secondo il Pagnani, raffigurerebbe il sacrificio di Isacco, anche se è inspiegabile la raffigurazione di Abramo nudo, mentre un’altra ipotesi è quella che vorrebbe fosse Carlo Martello che, soffrendo di priapismo, non poteva indossare i paramenti per andare in guerra, andando spesso nudo, la sua presenza per i soldati era simbolo di forza, di virilità; accanto a lui il figlio Pipino il breve, la cui immagine richiama da vicino quella presente sulla facciata della Collegiata di San Ginesio, e ad ulteriore conferma la spada molto grande tipica dei franchi.
Un affresco Trecentesco presente su un pilastro raffigura il Beato Alberto, monaco che è sempre vissuto in questa abbazia e sepolto all’interno della chiesa, che si invocava contro il mal di testa e i dolori intestinali.
L’abside orientato a Nord ospita un affresco del 1300 suddiviso a registri composti da quadri, dall’alto in basso i primi quattro riquadri sono dedicati a scene dalla vita di San Tommaso apostolo: San Tommaso che rifiuta il cibo e viene percosso da un servo; il servo viene divorato da un leone ed un lupo gli strappa la mano che ha colpito il Santo; San Tommaso che predica alla regina, ed alle principesse indiane, infine il martirio: San Tommaso benedicente viene colpito a morte e gli idoli pagani si infrangono.
Sul registro inferiore una Madonna del latte, il Beato Alberto, una Madonna con Bambino e una Crocifissione con l’immagine del committente e Santa Caterina d’Alessandria. Nella parte mancante, alla sinistra del Crocifisso, potrebbe essere stato ritratto uno dei Conti Atti, l’ultimo discendente cacciato e ucciso perché tiranno, la cui immagine sarebbe stata distrutta per cancellarne la memoria.
La pala d’altare di Pietro Paolo Agabiti è del 1524 e raffigura San Benedetto con San Placido, San Girolamo, Santa Scolastica e San Mauro con ai piedi il committente (il monaco che guarda verso di noi), l’autore (il monaco barbuto a mani giunte), il Beato Alberto, sepolto lì sotto e il Beato Gherardo, che poi è divenuto patrono di Serra dei Conti.
Il Paliotto del 1600, opera di Leonardo Scaglia, fu comperato per 40 scudi a una una chiesa francescana di Camerino.
Un affresco raffigurante San Romualdo è traccia della presenza dei Camaldolesi, dopo quella dei Benedettini.
Sotto un altro piccolo affresco con Santa Caterina d’Alessandria con la ruota del martirio, un altare romano, con l’aquila che ghermisce la lepre e il sasso cinto d’alloro simbolo del vincitore e del vinto, sempre proveniente da Sentinum.
Sopra la cappella del Santissimo e della Madonna dei sette dolori, la sirena a doppia coda, che anticamente veniva posta fuori dalle case di tolleranza, simboleggiava l’opulenza, la prosperità, l’abbondanza, per gli antichi rappresentava anche la madre terra che ha generato il mondo. La campana, purtroppo, è stata realizzata con le statue di bronzo di Sentinum.
La chiesa di Santa Croce ha un’ulteriore particolarità: i pilastri verso l’altare sono 20 cm più bassi rispetto a quelli verso l’entrata. Alcuni sostengono che sia stata volutamente costruita così per incamerare energia, a tale proposito sono state fatte delle misurazioni di onde elettromagnetiche ed effettivamente, in alcuni punti della chiesa, è stata rilevata un’energia di 2.400.000 superiore al normale. Il dato non deve stupire più di tanto: 9 e 14 metri sotto il pavimento della chiesa scorre acqua, che è ottimo conduttore di energia.
Un altro mistero, che rimarrà senza risposta, è che cosa sono venuti a cercare in questo luogo imperatori germanici, Napoleone ed anche Mussolini che venne in questo luogo il 19 agosto del 1926.
Benedetta Tintillini
Si ringrazia Associazione Culturale Matavitatau