In questo momento storico di emergenza sanitaria da Coronavirus, durante il quale le persone sono state costrette a modificare gli stili di vita, anche i consumi dei prodotti zootecnici hanno subito delle ripercussioni ascrivibili a quasi tutte le categorie zootecniche. Mentre il settore avicolo, ed in particolar modo quello della produzione di uova, continua e non ha avuto ripercussioni sul mercato, quelli delle carni suine, bovine e ovine e della produzione del latte, sia bovino che ovino, hanno patito un crollo significativo.
A lanciare l’allarme è Confagricoltura Umbria, sottolineando che nella nostra regione il settore suinicolo ha subito, in questi due mesi, una riduzione di capi macellati nella misura del 30% e che questo ha comportato, come afferma Matteo Pennacchi, presidente sezione zootecnica Confagricoltura Umbria, “un danno diretto e indiretto agli allevatori, non solo per la mancata vendita dei capi maturi ma anche un ulteriore sborso economico legato all’alimentazione dei capi che non sono stati macellati”. Ulteriore criticità del settore è la sensibile riduzione della vendita dei prodotti stagionati tra i quali, soprattutto, prosciutto e insaccati.
Stesso discorso può essere fatto per il consumo di carni bovine che, in questi mesi, hanno subito una riduzione dei consumi di almeno il 20% legato soprattutto al fermo delle attività di ristorazione e di tutto il settore Horeca. “Le problematiche della carne non riguardano solo gli allevatori ma si ripercuotono anche su tutta la filiera come ad esempio mattatoi e macellerie” spiega ancora Pennacchi.
Le criticità rilevate in questo periodo hanno interessato anche il settore della carne ovina che, proprio nel momento migliore del mercato, legato alle festività pasquali, ha subito la riduzione sostanziale delle richieste di carne di agnello; “questo, come per l’allevamento suinicolo, comporta un duplice danno agli allevatori” evidenzia Pennacchi.
Anche il settore lattiero-caseario non è rimasto indenne dalla pandemia. Il cambiamento delle abitudini alimentari e la sospensione delle attività di ristorazione hanno comportato un calo soprattutto nei consumi dei prodotti freschi. “I caseifici – osserva Pennacchi – si sono visti costretti a ridurre o l’acquisto o il prezzo del latte alla stalla, sia bovino che ovino, in parte per la riduzione dei consumi ed in parte per il divieto di spostamenti al di fuori del comune di residenza previsti dal DPCM. In alcuni casi i caseifici hanno ridotto la trasformazione del 50% ed hanno avuto riduzioni delle vendite quantificabili fino al 70%”.
“Il comparto zootecnico – dichiara Fabio Rossi, presidente di Confagricoltura Umbria – è una delle attività primarie per le aree svantaggiate dove le pratiche agronomiche tradizionali risultano di difficile applicazione. E’ quindi necessario preservare tale attività a presidio del territorio e per fermare lo spopolamento, laddove un livello minimo di popolazione e la conservazione dell’ambiente naturale non sarebbero stati altrimenti assicurati”.
In generale, prosegue Rossi, “la difficoltà di accesso al credito in tempi rapidi porta ad un mancanza di liquidità accrescendo le problematiche aziendali”. Pertanto, “vanno incentivate e promosse le carni umbre sane, certificate e garantite”.