Debutto nazionale, il 25 agosto ore 21.00 presso il Teatro Comunale di Todi, nell’ambito della XXXVIII edizione di Todi Festival, per Cuore puro – favola nera per camorra e pallone di Roberto Saviano. Dopo Gomorra (2007), Santos (2010) e La paranza dei bambini (2017), continua la collaborazione artistica tra Saviano e il drammaturgo e regista Mario Gelardi, con un nuovo spettacolo tratto da uno degli ultimi romanzi dello scrittore. A dare corpo e voce alle parole di Saviano saranno Antonella Romano, Vito Amato, Emanuele Cangiano, Carlo Di Maro, Francesco Ferrante; a tradurre le immagini in musica, le composizioni originali dei Mokadelic (gruppo che ha firmato la colonna sonora di film come Sulla mia pelle e di serie come Gomorra e Romulus). Le scene dello spettacolo sono di Vincenzo Leone; i costumi di Rachele Nuzzo e il disegno luci di Loïc François Hamelin. Cuore puro è prodotto da Sardegna Teatro, realizzato in coproduzione con Fondazione Luzzati Teatro della Tosse e Teatro Sannazaro.
I protagonisti sono tre ragazzini assoldati dalla camorra come vedette, il cui compito è giocare a calcetto in una piazza e avvisare quando arriva la polizia o qualcuno sospetto. Saviano racconta l’adolescenza di questi ragazzi costantemente divisi tra la passione per il calcio e i soldi facili della delinquenza. È la storia di un talento e di come quel talento non sia sufficiente se nasci nel luogo sbagliato.
Questa favola nera è raccontata dai tre protagonisti che si danno la staffetta durante lo spettacolo: un misto tra narrazione ed azione molto dinamica. All’angolo della piazza appare il giovane Tonino che sceglie i ragazzi per giocare a pallone e fare da vedetta in cambio di un piccolo mensile. I tre dovranno comunque continuare ad andare a scuola, per non attirare l’attenzione di nessuno. Tonino è alle dipendenze di un uomo colluso con la malavita ma, al tempo stesso è un procuratore di calcio. È un novello Mangiafuoco che allontana i ragazzi dal volo delle loro aspirazioni, portandoli con i piedi per terra; è un po’ come Lucignolo che li conduce nel paese dei balocchi, un paese che assomiglia a volte all’inferno, ma un inferno dorato a cui è difficile dire di no. Quando un osservatore del Napoli porta i ragazzi a fare un provino con le giovanili della squadra, Tonino piomba sul campo di gioco e, ancora una volta, li riporta alla realtà, li allontana dal sogno di diventare calciatori. È così che i ragazzi crescono, tra le aspirazioni e la realtà. Durante una partita importante, con la squadra da sempre odiata, uno di loro, Giovanni, si fa prendere da una splendida azione, un’azione che gli ricorda una di Kvaratskhelia vista in televisione la sera prima. Il ragazzo si fa prendere talmente dal gioco, da non accorgersi dell’arrivo in piazza di una volante della polizia. Quando Tonino chiede a Giovanni perché non ha fatto il suo lavoro, a suon di schiaffi, lui ammetterà: «Era troppo bella quell’azione!». È così che quel ragazzo, per seguire la passione del calcio verrà allontanato dal gruppo, non lo sa ancora ma quella sarà la sua salvezza.
Qui inizia la seconda parte di questa favola che diventa ancora più cupa. I ragazzi rimasti saranno sempre più dipendenti dal denaro che Tonino gli elemosina, fino al giorno in cui “la strega chiederà a loro di portagli il cuore di Biancaneve”. Se ogni favola ha una morale, pure questa novella nera ce l’ha: l’unico ragazzo che si salva da un epilogo drammatico, è quello che ha seguito una passione, la passione per il gioco del calcio. Tutta la storia è vista sotto lo sguardo a volte disilluso di una giovane madre consapevole del destino che tocca al figlio. Una donna risoluta ma senza illusioni. Una madre simbolo della città e dell’impossibilità di proteggere i propri figli dal male.
La storia è ambientata a Napoli, ma non è necessariamente napoletana, rievoca, infatti, il cinema di Ken Loach (Sweet Sixteen, My name is Joe).
«Ho sempre pensato che ovunque e in ogni vita potesse esistere una possibilità di salvezza. – dichiara Roberto Saviano, che continua – Ho scritto Cuore puro pensando ai ragazzini della mia città che giocano a calcio in strada. Ogni piazza, ogni slargo, ogni angolo per loro diventa un campo improvvisato, uno stadio che ospita i passanti. I ragazzi che giocano nei quartieri più disagiati, nelle periferie che tante volte ho descritto, spesso non guardano al futuro con ottimismo; a volte non pensano nemmeno di averlo un futuro, intrappolati come sono in una terra che ha così poco da offrire. Ma in Cuore puro c’è qualcosa di diverso: la speranza diventa una possibilità concreta di salvezza e inseguire la propria passione, segnare quel goal, ti può salvare la vita. I ragazzi protagonisti di quest’aria non lasciano nulla di intentato, ci provano a realizzare il loro sogno, perché come diceva Maradona: “I rigori li sbaglia solo chi ha il coraggio di tirarli”. Cuore puro per me è una gioia semplice: è la gioia di una partita a pallone fatta per strada, da piccoli. E adesso che per strada a pallone non gioco più, mi piace rivivere quei momenti e restituirne la spensieratezza tutta infantile, la convinzione irrazionale che un giorno le cose possano cambiare, e non solo per noi stessi. Mi piace pensare che la mia terra, nonostante tutto, abbia ancora qualcosa da offrire».
«Cuore puro è un piccolo racconto di formazione che affonda le radici nell’archetipo delle fiabe della consapevolezza – spiega Mario Gelardi. Nel percorso di crescita non c’è un solo protagonista ma guardiamo tre facce, come un prisma, aggirarsi nel bosco che si staglia pericoloso appena fuori la porta di casa. Tre ragazzini, gli stessi occhi, tre strade imboccate e tre destini. Quella che sembra una piccola oasi di felicità – un campetto di calcio ricavato nello spazio comune delle case popolari – si trasforma d’improvviso nella tenebrosa selva metropolitana. L’ombra lunga del lupo Tonino si aggira intorno a loro trasformando i sogni di gloria dei tre ragazzi in una gabbia di insofferenza per la vita misera e poi in una tagliola inesorabile, che recide teste, aspirazioni e speranze. Solo uno di loro ha testa e tiene testa a Tonino. Uno di loro capisce di giocarsi la partita della vita. Gli adulti non possono far altro che guardare da dietro le finestre tetre, da lì i genitori spiano, conoscono e anche se qualche volta parlano non lo fanno mai a voce troppo alta. Sono finestre senza luci quelle che corrono intorno al campetto della felicità: un mondo senza colore che circonda un piccolo palco come un corral spagnolo. Un teatro di vite spezzate come in una tragedia senza finzione. Solo una madre coraggio, su tutti, accende una luce e cerca d’impedire questo gioco al massacro, ma la sua voce, per il giovane figlio, suona come un rimprovero per una partita di troppo. È in questo rincorrersi di inconsapevolezza e pericolo chi corre più forte – chi vola via – si salva, come in un videogioco. Ma come nei videogame non tutti possono vincere, vince il più forte, vince chi non perde lucidità. Gli altri si perdono nella giungla delle immagini e il lupo se li mangia».