«Di quello che hai fatto e farai con spirito amichevole desidero ancora ringraziarti con tutto il cuore. Ho ancora meditato sulle cose che ci siamo detti nel nostro ultimo incontro e, naturalmente, del peso del sacrificio che il partito ti chiede».
È un passaggio di una lettera datata 19 settembre 1962, quaranta giorni prima della data di Bascapè. A scrivere è Aldo Moro, leader della DC, che chiede a Enrico Mattei “un sacrificio”, appunto, sacrificio che non può che essere quello delle dimissioni o della non riproposizione della sua candidatura al rinnovo della presidenza dell’ENI su cui si sarebbe dovuto decidere nei mesi successivi.
A riportare l’importante documento nel volume appena edito da Rubbettino “Enrico Mattei e l’intelligence. Petrolio e interesse nazionale nella guerra fredda” è Mario Caligiuri, Presidente della Società Italiana di Intelligence e curatore dell’opera che ha rinvenuto la missiva nell’Archivio storico dell’Eni a Castel Gandolfo.
«Ho ancora meditato sulle cose che ci siamo detti nel nostro ultimo incontro – scrive ancora Moro – e, naturalmente, del peso del sacrificio che il partito ti chiede. A mente fredda e sulla base delle più compiute informazioni da te fornitemi ho dovuto ancora concludere che è questa ancora la via migliore».
E, più avanti, nell’evidente tentativo di mostrarsi comprensivo verso le conseguenze personali derivanti al destinatario della lettera da una scelta simile: «Ogni decisione, ed anche questa, comporta certo uno svantaggio ed in esso, credimi, io metto in primissima linea il tuo disappunto, anzi il tuo evidente e comprensibile dispiacere. Lo noto personalmente e mi pesa molto. Ma, credi, nella situazione attuale non c’è di meglio da fare. La tua rinuncia contribuisce a consolidare una situazione assai fragile e spegne una polemica astiosa che ti avrebbe ancor più amareggiato, e con te le tue idee e le tue importanti iniziative. Sembra di perdere ed invece si garantisce e si consolida».
Perché Moro avanza tale richiesta a Mattei?
Con l’elezione di Antonio Segni, la DC si trovava in una posizione di grande forza, avendo espresso sia il Presidente della Repubblica che quello del Consiglio. Mattei, tuttavia, come scrive Mario Caligiuri, si trovava in una posizione di forte conflitto con Segni, essendosi egli mosso dietro le quinte per favorire la rielezione di Gronchi, promotore della politica neoatlantica e suo protettore. La DC a questo punto aveva valutato l’opportunità di interrompere l’esperienza di Mattei alla presidenza dell’ENI che peraltro era stato oggetto di forti attacchi da parte del «Corriere della Sera» e di lettere riservate e libelli accusatori contro i poteri economici fuori controllo.
Ma non è solo la lettera di Moro, l’unica “inquietante notizia” contenuta nel libro curato da Caligiuri, vi sono tanti altri aspetti che vengono rivelati e che consentono di gettare luce su una delle vicende oscure della Repubblica, come le considerazioni del Secret Service britannico, rilevate da Giovanni Fasanella, che definiscono Mattei “una escrescenza da rimuovere” o un documento inedito dell’intelligence italiana del marzo 1962 rinvenuto da Giacomo Pacini in cui si prevede un possibile sabotaggio al suo aereo privato proprio in Sicilia. Ad architettare il piano sarebbero stati uomini dell’OAS, l’organizzazione paramilitare francese favorevole al ruolo coloniale della Francia.
«A inizio gennaio 1962 – scrive Pacini riportando il contenuto di alcune comunicazioni dei Servizi italiani – si cominciò a parlare esplicitamente di un attentato contro l’aereo di Mattei che sarebbe stato progettato da uomini dell’Oas. “L’aereo” si legge “avrebbe dovuto essere sabotato con una bomba ad orologeria, piazzata a Milano, che avrebbe dovuto scoppiare dopo la partenza da Roma, al di sopra del Mediterraneo, per impedire ogni inchiesta sulla caduta dell’apparecchio”. Il 23 marzo, in un’ennesima informativa, l’Uar ribadiva che “l’Oas non ha rinunciato al proposito di far la pelle ad Enrico Mattei” e ha “addirittura esaminato la possibilità di abbatter[ne] l’apparecchio nel caso questi si recasse in Algeria”. Miliziani dell’Oas avrebbero inoltre proposto un piano per un eventuale attentato contro Mattei da attuare nella zona di Gela nel caso di un suo viaggio in Sicilia. Non solo; l’Oas stava cercando accordi anche con la mafia al fine di stabilire collegamenti marittimi clandestini fra l’Algeria e la Sicilia.
Come noto, nel suo ultimo viaggio in Sicilia, Mattei atterrò proprio a Gela. Nel 1997, in un’intervista al “Corriere della Sera”, Jean Susini, dopo aver ricordato gli anni passati in Italia, ha sostenuto che quell’attentato potrebbe tranquillamente averlo organizzato l’Oas, visto che, a suo dire, le ragioni per far fuori Mattei c’erano tutte. Egli infatti: “forniva armi
ai ribelli algerini attraverso la Tunisia, era un gioco che rientrava negli interessi petroliferi dell’Italia (…). I veri nemici di Enrico Mattei erano i francesi d’Algeria”».