Con la prima settimana di Festival ormai alle spalle, nuovi grandi artisti stanno per calcare il palcoscenico del Festival dei Due Mondi. La coreografa e danzatrice israeliana Sharon Eyal debutta alle ore 21 con la sua nuova creazione Into the Hairy, in scena in prima nazionale fino al 3 luglio (ore 19, ore 16, ore 21). Sul palco del Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti danza la sua compagnia L-E-V (in ebraico cuore), uno dei gruppi più curiosi e originali della nuova generazione israeliana, fondata insieme al compagno Gai Behar, con il quale firma anche questo spettacolo. Come per ogni lavoro di Sharon Eyal i costumi sono parte integrante della creazione artistica, e in questo caso sono realizzati da Maria Grazia Chiuri per Christian Dior Couture. È al debutto la collaborazione con il musicista e produttore di musica elettronica Koreless, tra i musicisti e producer più influenti della nuova generazione. In un mix di contemporanea, ambient, garage o trance, la musica di Koreless si muove tra il dubstep e l’elettronica soul con una identità fortemente riconoscibile che vede quest’anno la consacrazione anche al Sónar di Barcellona. Ex danzatrice della Batsheva Dance Company e musa del coreografo Ohad Naharin – che il pubblico spoletino ha applaudito nel formidabile spettacolo Decadance nel 2016 – Eyal definisce così la sua alchimia: «per quanto mi riguarda, forma mentale, impegno fisico e tecnica di danza sono un tutt’uno. Quando si è esausti, quando i muscoli sono come in fiamme, l’emozione sale in superficie e diventa impossibile fingere o costruire un discorso. Si può essere solo nel presente».«La fonte dei movimenti» – racconta Eyal – «deve necessariamente provenire da me, ma mi piace vedere come vengano tradotti e trasformati dai miei danzatori. Cerco qualcosa con la quale, da coreografa, io possa trovare nuovi agganci, e che ami, m’ispiri».
La straordinaria voce di Imany, nome d’arte di Nadia Mladjao, è protagonista, al Festival dei Due Mondi, di Voodoo cello (Piazza Duomo, 1 luglio ore 21.30) progetto in cui la cantante francese, accompagnata da otto violoncelli, reinterpreta i successi iconici della musica pop.
Secondo il giornalista Ernesto Assante, Imany «non si accontenta di rileggere il repertorio dei grandi, ma ha l’ambizione di poterli “riscrivere”, di portarli all’interno del suo mondo, del suo linguaggio, di ridisegnarne i contorni senza mai tradirne la natura o l’ispirazione. Imany non solo riesce a catturare l’attenzione con le sue doti vocali ma porta l’ascoltatore a “riscoprire” le canzoni che già conosce perché sono “ripensate” per una struttura musicale completamente differente. Ogni suo concerto è un’esperienza diversa, perché Imany esprime la sua “fede” nella musica cambiando costantemente, non lasciando nulla di intentato, trasformando ogni performance in un’esperienza da condividere con gli altri, in nome della musica, della comprensione reciproca, dell’amore e dell’arte».
Imany sul palcoscenico incarna una sacerdotessa voodoo, personaggio ispirato a una grande varietà di culture, che tramite la musica e le canzoni racconta la propria storia. Il suo destino, che inizia nell’oscurità e termina nella luce, la porta a una pace interiore raggiunta grazie a danze e rituali che la liberano dai propri demoni.