Tra storia e fantasia, il legame tra Francesco Petrarca e la sua gatta è immortale. Nell’incanto dei Colli Euganei, ad Arquà, nella casa che ospitò il celebre poeta, il ricordo della fedele micia è ancora una delle principali attrattive.
Il legame tra umani e felini ha origine nella notte dei tempi, e neanche i grandi intellettuali sono riusciti a sottrarsi al fascino discreto e aristocratico che il gatto sa esercitare, con la sua calma, grazia e indiscutibile superiorità.
Nella casa che ospitò Francesco Petrarca al termine della sua vita, nel delizioso borgo di Arquà che del poeta fiorentino ha assunto il nome, una sala al pian terreno ospita una teca che custodisce i resti imbalsamati della gatta, che ancora racconta la sua storia:
“Il poeta toscano arse di un duplice amore: io ero la sua fiamma maggiore, Laura la seconda. Perché ridi? Se lei la grazia della divina bellezza, me di tanto amante rese degna la fedeltà; se lei alle sacre carte diede i ritmi e l’ispirazione, io le difesi dai topi scellerati. Quand’ero in vita tenevo lontani i topi dalla sacra soglia, perché non distruggessero gli scritti del mio padrone. E ora pur da morta li faccio tremare ancora di paura: nel mio petto esanime è sempre viva la fedeltà di un tempo”.
Il tempo di Francesco Petrarca ad Arquà è scandito dallo studio e dalla scrittura, finché nella sua vita arriva, attraverso una finestra lasciata aperta, una flessuosa gatta tricolore (una calico?) con gli occhi di due colori diversi, uno azzurro come un lago di montagna e l’altro color dell’ambra.
La gatta è affettuosa ma anche indipendente, indifferente alle lusinghe ma dalla compagnia discreta e amabile: è amore a prima vista, da quel giorno Petrarca e la sua gatta saranno amici fidi e inseparabili, tanto che in una lettera indirizzata a Boccaccio scrisse:
“Laura, l’amore della mia vita,… che la peste mi ha portato via già da un’eternità ad Avignone, ancora adesso dopo molto tempo dalla sua morte è la regina incontrastata del mio cuore. Eppure un giorno… una gatta è entrata a far parte della mia vita insidiandone il primato. Da allora, questi due esseri si contendono lo scettro del mio cuore combattendo una lunga lotta travagliata, che ancora non ha un vincitore, sul campo di battaglia dei miei pensieri e sentimenti”.
La gatta di Francesco Petrarca divenne così famosa che anche il Tassoni, nella sua “Secchia rapita”, scrisse:
“ …e ‘l bel colle d’Arquà poco in disparte, che quinci il monte e quindi il pian vagheggia; dove giace colui, ne le cui carte l’alma fronda del sol lieta verdeggia, e dove la sua gatta in secca spoglia guarda da topi ancor la dotta soglia”.
Forse quella raccontata fin’ora è storia vera, o forse è solo fantasia, ma una cosa è certa: “l’umanità si può suddividere grossomodo in due categorie. In coloro che amano i gatti e in coloro che vengono puniti dalla vita”.
Benedetta Tintillini