Definito dal critico letterario Gianfranco Contini “competente in umiltà”, Pier Paolo Pasolini, dopo aver indagato con i romanzi e i primi film il mondo dei sottoproletari che alla metà del secolo scorso abitavano nella periferia di Roma, ha realizzato con “Il Vangelo secondo Matteo” un film nel quale “il senso del sacro e la sensibilità moderna si fondono reciprocamente sotto il segno della poesia”.
Culturalmente versatile, Pier Paolo Pasolini si distinse in numerosi campi, lasciando contributi anche come pittore, romanziere, linguista, traduttore e saggista, non solo in lingua italiana, ma anche friulana.
Attento osservatore dei cambiamenti della società italiana dal secondo dopoguerra sino alla metà degli anni settanta nonché figura a tratti controversa, suscitò spesso forti polemiche e accesi dibattiti per la radicalità dei suoi giudizi, assai critici nei riguardi delle abitudini borghesi e della nascente società dei consumi, come anche nei confronti del Sessantotto e dei suoi protagonisti. Il suo rapporto con la propria omosessualità fu al centro del suo personaggio pubblico
Lo sottolinea il gesuita padre Virgilio Fantuzzi in un saggio dal titolo “Pasolini e il sacro” che appare sul nuovo fascicolo della rivista “La Civiltà Cattolica”. “Successivamente, il regista avrebbe voluto dare un seguito al film sul Vangelo girandone uno sulla vita di san Paolo, il cui progetto, rimasto nel cassetto, è noto attraverso la sceneggiatura pubblicata dopo la sua morte”, ricorda padre Fantuzzi, critico cinematografico della Compagnia di Gesù.
Con “Teorema”, il più discusso dei suoi film, “Pasolini parla delle conseguenze della perdita del senso del sacro nell’ambito della moderna società opulenta”, ricorda il gesuita.