Una squadra di Greenpeace Russia ha documentato i massicci incendi che stanno interessando la Grande foresta del Nord nella regione di Krasnoyarsk in Siberia.
Nonostante le dichiarazioni delle autorità, l’intensità degli incendi non sta diminuendo e anzi, la distruzione di 4,3 milioni di ettari di foresta (una superficie equivalente a quella di Lombardia e Piemonte messi insieme) e l’emissione di oltre 166 milioni di tonnellate di anidride carbonica (più o meno quanto viene emesso in un anno da 36 milioni di auto), continua a minacciare il clima del Pianeta.
Uno degli effetti collaterali di questa catastrofe è la produzione di “black carbon”, ovvero particelle nere che rischiano di finire nell’Artico e depositarsi sul ghiaccio riducendone l’albedo (il potere riflettente di una superficie) e facilitando così l’assorbimento di calore, contribuendo ulteriormente al riscaldamento globale.
“Questi incendi avrebbero dovuto essere spenti immediatamente e invece sono stati ignorati. Ora la situazione è catastrofica e le conseguenze che avranno sul clima non sono una minaccia solo per la Russia, ma per l’intero Pianeta” dichiara Martina Borghi, campagna foreste di Greenpeace Italia. “La Russia dovrebbe fare di più per proteggere le proprie foreste, ad esempio fornendo finanziamenti sufficienti per la prevenzione e il monitoraggio degli incendi. La questione degli incendi che ogni anno consumano le foreste del mondo, come sta accadendo non solo in Russia ma anche in Indonesia, dovrebbe essere affrontata a livello internazionale durante i negoziati sul clima delle Nazioni Unite” conclude Borghi.
Ogni anno nella taiga si verificano alcuni incendi, ma le fiamme di questa estate hanno raggiunto dimensioni senza precedenti e molto probabilmente, a causa della situazione meteorologica, la situazione rimarrà catastrofica anche per le prossime due settimane.
In Russia, oltre il 90 per cento degli incendi avviene nelle cosiddette “zone di controllo”, ovvero aree in cui la legge non prevede che debbano essere spenti. Molti degli incendi che quest’anno stanno divampando nelle “zone di controllo” avrebbero potuto essere estinti in fase precoce, il che avrebbe ridotto significativamente l’area interessata dagli incendi e le emissioni di CO2 nell’atmosfera.