Aumentano i trapianti e le donazioni in Italia. Lo rivelano i dati di proiezione di ottobre 2016 del Centro Nazionale Trapianti, numeri che confermano la leadership italiana in Europa.
Sono stati eseguiti 3.268 trapianti,contro i 3.002 del 2015. Il totale dei donatori d’organi è stato di 1.260, contro i 1.165 del 2015. La principale novità riguarda le donazioni da vivente, che già nel 2015 hanno registrato un incremento del 20,4% rispetto all’anno precedente.
In particolare quelle di rene (da vivente) hanno raggiunto un vero e proprio record, superando per la prima volta la soglia dei 300 prelievi (+56,8% rispetto al 2012). I dati sono stati presentati nell’ambito dell’incontro “Il Centro Nazionale Trapianti e la gestione del processo di donazione e trapianto” svoltosi a Roma, organizzato da Value Relations con il supporto incondizionato di Chiesi Farmaceutici e grazie all’ospitalità del Centro Nazionale Trapianti.
“La nostra è una rete particolarmente duttile e reattiva agli stimoli o agli ostacoli derivanti dai vari cambiamenti, anche del sistema sanitario, a cui abbiamo assistito per anni, ma è anche capace di promuovere, pur nella necessaria considerazione delle differenze che caratterizzano le reti regionali, una uniformità di approccio e di valida risposta terapeutica verso i pazienti candidati al trapianto”, ha dichiarato il Direttore del Centro Nazionale Trapianti, Alessandro Nanni Costa. “Con la nascita, nel novembre del 2013, del Centro Nazionale Trapianti Operativo (CNTO) siamo attivi ormai in tempo reale, lungo l’arco delle 24 ore, e riceviamo dalle Regioni le segnalazioni di tutti i donatori d’organo, esaminandone idoneità e rischio di trasmissione di malattie. Seguiamo l’assegnazione di ciascun organo, sia che venga destinato a un programma nazionale, sia alle liste regionali, sino alla fase del trapianto. Anche i trasporti di organi, equipe e pazienti sono monitorati dal CNTO attraverso un collegamento costante con le Regioni”, ha concluso Nanni Costa.
“Il cammino dei trapianti poggia su due gambe, quella sociale e quella sanitaria. È un cammino un po’ claudicante perché, paradossalmente, la gamba oggi più forte è quella sociale – che contiene il consenso e l’autodeterminazione alla donazione – mentre quella sanitaria appare ancora debole. Appurato che la ‘macchina dei trapianti’ italiana funziona secondo i più alti standard di qualità e sicurezza, bisogna dire che non tutte le strutture ospedaliere attivano il processo di donazione sistematicamente alla morte di un paziente. – dichiara Giuseppe Piccolo, Coordinatore Regionale Trapianti della Lombardia – Ancora troppo spesso si tratta di un’attività discrezionalmente aggiuntiva, di cui si fa carico il singolo operatore sanitario. L’obiettivo è quello di considerare la donazione di organi e tessuti come un’attività sanitaria di cui sono responsabili le direzioni degli ospedali, nel contesto di programma regionali e nazionali ben definiti. Solo così la donazione potrà affermarsi per quello che è, ossia il presidio clinico di prima scelta per i pazienti”.
Il trapianto è quindi ad oggi la miglior cura per l’insufficienza terminale d’organo.“Rispetto alle terapie alternative e al supporto artificiale, non solo rappresenta un vero e proprio salvavita – come nel caso del trapianto di cuore o del trapianto di fegato nell’epatite fulminante – ma determina anche una migliore sopravvivenza del paziente: nel caso del trapianto di fegato, si rileva una sopravvivenza dell’86% a un anno dall’intervento. Nel trapianto di rene, la percentuale di sopravvivenza a un anno è del 97,2%. Il trapianto di rene permette, inoltre, una sopravvivenza dei pazienti molto superiore a quella attesa in un paziente in dialisi: dopo il trapianto, il rischio di decesso è di oltre il 70% inferiore, rispetto ai pazienti di pari età in dialisi. – spiega Andrea De Gasperi, Direttore del Dipartimento Niguarda Transplant Center. Una migliore condizione clinica determina inoltre una migliore qualità di vita e, in molti casi, un ritorno all’attività lavorativa: il Centro Nazionale Trapianti stima che l’89,9% dei pazienti italiani sottoposti a trapianto di cuore, l’78% dei trapiantati di fegato e l’89% dei trapiantati di rene, lavora o è nelle condizioni di farlo e quindi è pienamente reinserito nella normale attività sociale.
Stiamo quindi assistendo a un cambio di mentalità nella cultura della donazione d’organo? “Le campagne istituzionali di sensibilizzazione stanno portando certamente a risultati concreti: si stima che a un anno di distanza la persona (parente del donatore) che ha optato per la donazione, lo rifarebbe nella quasi totalità dei casi, convinto della propria scelta. È vero però che i livelli di opposizione per la donazione da cadavere in Italia sono ancora troppo elevati, siamo intorno a una media del 30-32%, a dimostrazione del fatto che c’è ancora un grande gap culturale da colmare.” afferma Giuseppe Vanacore, Presidente ANED. “Anche le aziende possono oggi contribuire a questo processo virtuoso, non solo attraverso terapie innovative che incrementino la sopravvivenza del paziente, a beneficio della qualità di vita, ma anche favorendo lo scambio di informazioni tra le realtà che operano in questo ambito con il supporto di eventi come quello che si è svolto oggi a Roma.” conclude Raffaello Innocenti, Direttore Generale della Divisione Farmaceutica Italia del Gruppo Chiesi.