L’approvvigionamento dell’acqua potabile a Todi e nelle campagne, a cavallo tra Ottocento e Novecento, è il tema del volume intitolato “L’acqua dei Castelli”, di Massimo Rocchi Bilancini, edito dal G.A.L. Media Valle del Tevere e dall’Associazione Toward Sky, di cui Bilancini fa parte.
Problema molto sentito, quello del reperimento di acqua per scopi domestici e di allevamento, soprattutto nelle campagne tuderti , anzi, todine, come riporta il titolo della pubblicazione: secondo l’autore tale aggettivo (forse meno “nobilitante”, ndr) è maggiormente identificativo per le frazioni di campagna dell’antica città umbra.
150 gli anni presi in considerazione nella ricerca, 15 gli anni impiegati, con passione ed entusiasmo, per la realizzazione di tale prezioso e corposo tomo. Un documento necessario ed unico: il censimento (e la riscoperta) delle fontane delle 35 frazioni tuderti (e non solo) e la raccolta organica dei documenti ufficiali relativi alla loro sorte. La ricostruzione di un pezzo di storia minima, di vite faticose e di sacrifici ignorate dalla Storia con la maiuscola, ma che sono state il substrato culturale, perché di cultura si tratta, che ci ha reso ciò che oggi siamo, fieri del nostro passato e delle nostre tradizioni.
Dal 1999, anno della riscoperta della Fontana dei Bottini da parte di Massimo Rocchi Bilancini e Valerio Chiaraluce, scaturisce la curiosità di Massimo per le fontane, l’acqua ed il suo approvvigionamento nella città dove vive.
Fontane più o meno ben conservate, o sparite anche nella memoria degli abitanti più attempati, sepolte da sassi e sterpaglie e pazientemente ripulite. In qualche caso riuscendo addirittura ad innescare un circolo virtuoso, stimolando cioè gli abitanti alla prosecuzione del lavoro, alla manutenzione ordinaria e la cura delle fontane ritrovate.
Approvvigionamento di acqua potabile ma non solo. Alle fonti si abbeverava il bestiame, e, soprattutto, lavoravano le donne: massaie o lavandaie di professione che affrontavano lunghe giornate faticose in un ritmo senza fine.
Ho imparato che la destinazione d’uso della fontana è deducibile anche dal tipo di inclinazione del suo bordo (come è perfettamente visibile nel caso della Fontana dei Bottini): le vasche per lavare i panni avevano il bordo inclinato verso l’interno, quelle destinate all’abbeveraggio del bestiame, invece, lo avevano inclinato verso l’esterno.
L’approfondito lavoro di ricerca documentale ha riportato alla luce un gran numero petizioni che il popolo delle campagne, spesso attraverso l’aiuto del parroco, inoltrava ai governanti della città, lamentando sovente il gravoso peso delle tasse non impiegate a beneficio di chi quelle tasse effettivamente le pagava ma utilizzate a maggior lustro dell’agglomerato urbano e dei suoi abitanti.
Grande spazio Bilancini ha voluto riservare a queste petizioni, come per ridare voce al popolino che mai voce ha avuto. Una in particolare mi piace ricordare in questa sede: la richiesta che le lavandaie di Pontecuti, nel 1894, inoltrarono al comune per la costruzione di una vasca per lo svolgimento del loro lavoro. Avrebbero contribuito con 50 lire ad una spesa complessiva di 250. Il Comune non trovò mai le 200 lire necessarie per la realizzazione dell’opera, e le donne di Pontecuti, pur esercitando l’attività più diffusa nella frazione, furono costrette a continuare a lavare sulle sponde del Tevere, dove ancora è possibile identificare lo Scoglio delle Lavandaie.
Un piccolo tentativo delle donne di oltre cento anni fa di far sentire la loro voce. Tenero quanto inascoltato.
Le sorprese alimentano l’entusiasmo e danno nuova energia per seguire i propri sogni: Massimo e Valerio sono riusciti ad identificare la Fonte dei Rognosi, di cui si aveva vaga memoria nonostante fosse situata addirittura nel centro storico, in via di Mezzo Muro. Attualmente si presenta murata perché non più alimentata, ed era chiamata “dei Rognosi” perché la sua acqua era di giovamento per le malattie della pelle. Tale ritrovamento fa il paio con una scoperta che ha dell’eccezionale: è di novembre scorso il fortuito rinvenimento della Fonte delle Logge, ritenuta ormai scomparsa, invece localizzata, totalmente interrata, in un campo sul versante meridionale del colle di Todi.
L’eccezionalità della Fonte delle Logge sta nelle sue dimensioni e nell’architettura con volte a sesto acuto tipica del senese. La speranza ed il sogno dell’autore è che queste due fonti possano essere recuperate e restituite alla città ed alla sua memoria, ai tuderti ed ai visitatori.
L’auspicio di noi tutti è che l’enorme entusiasmo di Massimo, verso il quale tutti dobbiamo sentirci estremamente grati, sia minimamente contagioso; l’augurio è rivolto, in primis, verso chi ci amministra.
di Benedetta Tintillini
Si ringrazia: Associazione Culturale Matavitatau