In occasione del Cinquecentenario della morte di Luca Signorelli, è d’obbligo raccontare una delle sue opere di maggior rilievo che è possibile ammirare all’interno del Duomo di Orvieto: gli affreschi della cappella di San Brizio.
Siamo alla fine del 400. Dopo un lungo tira e molla con il Capitolo dei canonici del Duomo per ottenere il lavoro, Luca Signorelli ottiene l’appalto per la decorazione della cappella nuova.
Questo ambiente, creato nel 1300 in occasione dei lavori di ampliamento del tempio, che poi si è focalizzato sulla splendida facciata, viene progettato dall’architetto senese Lorenzo Maitani, artefice del carattere decisamente gotico dell’edificio, rendendolo una delle chiese più preziose d’Italia.
L’ambiente, rimasto spoglio per molto tempo, venne decorato in parte, a metà del ‘400, dal Beato Angelico che, però, realizza solo una piccolissima parte della volta; l’Angelico blocca il lavoro per ritornare a Roma con l’intento di ritornare a Orvieto l’estate seguente, cosa che non avvenne. A questo punto i canonici del duomo chiedono molte volte, prima a Pier Matteo d’Amelia poi a Perugino, di subentrare nel lavoro, ma non si trova un accordo a livello economico e alla fine è Signorelli ad aggiudicarsi la realizzazione del ciclo di affreschi.
Crea le scene della fine del mondo e le storie dell’anticristo, basandosi sostanzialmente sul libro dell’Apocalisse e sulle descrizioni dell’oltretomba ispirate dalla Divina Commedia rompendo con la tradizione e introducendo un nuovi concetti nella pittura. La sensazione di armonia Quattrocentesca, tipica del Botticelli o del Perugino non c’è più: Signorelli nei suoi affreschi sottolinea il senso di smarrimento dato dal crollo delle certezze e dell’ottimismo tipici del Rinascimento, preannuncia l’arrivo dell’anticristo, la diffusione della menzogna, un tempio alle spalle dell’anticristo, assaltato dai soldati, sembra quasi profetizzare il sacco di Roma del 1527.
Anche a livello stilistico la sua è una pittura totalmente innovativa. In Piero della Francesca o in Perugino lo spettatore entra nei paesaggi e nei portici, in Signorelli i personaggi escono fuori, i dannati sembrano scaraventati fuori dall’affresco e cadere addosso llo spettatore: è molto più scenografico, drammatico e poi ha una passione fortissima per l’anatomia, per la struttura plastica. Il suo ciclo di affreschi è un’anticipazione perfetta di quello di Michelangelo che, prima di andare a lavorare alla Sistina, si è fermato a Orvieto e ha studiato i nudi del Signorelli.
La cappella di San Brizio è un sunto dello spirito di un’epoca: la parte superiore è teologia pura, la parte in bassa, dove è visibile anche il ritratto di Dante, propone una carrellata di personaggi quali Ovidio e Virgilio: una libreria classica che illustra un’epoca in cui la fede e la filosofia sono i pilastri della cultura, proprio gli stessi che sono oggetto dei due affreschi di Raffaello nelle Stanze della Segnatura in Vaticano.
Ma come arriva Luca Signorelli a Orvieto? Grazie ai molteplici legami che uniscono la città della rupe a Siena: prima di tutto perché l’architetto del Duomo, come detto, è senese, poi perché Antonio Albèri, un sacerdote del capitolo del duomo, era il factotum del cardinale Piccolomini, il nipote del papa di casata senese.
Signorelli stava lavorando nell’Abbazia di Monte Oliveto alla realizzazione della bellissima serie di affreschi con le storie di San Benedetto, lavoro che interruppe proprio per andare a Orvieto. È il punto più alto della carriera del Signorelli.
I soldi per la realizzazione del ciclo di affreschi di San Brizio li fornì il Papa. Orvieto, città guelfa, è stata una delle più importanti città papali, nel Medioevo beneficiò enormemente della protezione dei papi e controllò un’ampia fetta di territorio, grazie anche alla sua una posizione straordinaria a livello di sicurezza: a metà strada tra l’Etruria, la Toscana e Roma e, soprattutto, sopraelevata su una roccia di tufo.
Benedetta Tintillini