Ha ufficialmente riaperto a Pietrafitta il Museo paleontologico “Luigi Boldrini” che, con la sua collezione, figura tra le più importanti in Europa di animali vertebrati del Pleistocene Inferiore. La nuova gestione è della Direzione regionale musei dell’Umbria, che apre importanti prospettive di sviluppo e ricerca per il polo di Pietrafitta, adesso parte integrante della rete regionale museale.
Alla cerimonia inaugurale, svoltasi nel tardo pomeriggio di ieri presso la rinnovata struttura che sorge dirimpetto alla centrale Enel e all’ex area mineraria da cui provengono i fossili, sono intervenuti Marco Pierini, direttore della Direzione regionale musei Umbria; Tiziana Caponi, direttore del Museo paleontologico Luigi Boldrini; Marco Cherin, professore associato di Paleontologia e Paleoecologia all’Università degli Studi di Perugia; Roberto Ferricelli, sindaco di Piegaro; Giulio Cherubini, sindaco di Panicale; Erika Borghesi, consigliera provinciale; Paolo Tartaglia, responsabile dei siti produttivi Enel di Pietrafitta e Santa Barbara; la famiglia e le figlie di Luigi Boldrini, l’ex dipendente Enel che con grande passione e competenza negli anni ha raccolto e conservato i fossili da cui ha preso vita il Museo che non a caso è intitolato alla sua memoria.
Dopo l’evento di presentazione, sono state effettuate visite guidate per i tanti convenuti – famiglie, adulti e bambini – a cura di Marco Cherin, per l’occasione con ingresso gratuito, apertura straordinaria fino alle 22:30 e aperitivo in collaborazione con la Pro Loco di Pietrafitta. Con questo nuovo percorso, inoltre, il Museo si apre ad importanti collaborazioni con le realtà del territorio, tra cui Enel, che ha realizzato in tempi recenti un impianto fotovoltaico da 32 kW sulla copertura dell’edificio per favorire lo sviluppo delle energie rinnovabili, la sostenibilità e ridurre i consumi energetici della struttura con benefici economici ed ambientali.
Il sito paleontologico di Pietrafitta, nel Comune di Piegaro, è senz’altro uno dei più significativi a livello regionale, sia per l’abbondanza dei fossili rinvenuti sia per il loro valore scientifico, riconosciuto a livello internazionale. Le ligniti di Pietrafitta sono parte della successione sedimentaria del Bacino di Tavernelle-Pietrafitta, che si sviluppa in direzione est-ovest per 12 km con un’ampiezza massima di 5 km e che registra la presenza prima di un grande lago, poi di un sistema fluviale nel corso del Pleistocene. Gli scavi della lignite destinata ad alimentare la centrale termoelettrica “Città di Roma”, creata nel 1959 sotto la gestione di Acea e dal 1963 proprietà di Enel, hanno portato alla luce migliaia di resti fossili di piante (36 specie identificate mediante frutti e semi, 11 specie mediante pollini), molluschi d’acqua dolce (5 specie), insetti (almeno 6 ordini) e soprattutto vertebrati (ben 40 specie tra pesci dulciacquicoli, anfibi, rettili, uccelli e mammiferi). Sono proprio i vertebrati a rendere unica la fauna di Pietrafitta, considerata dagli scienziati la più ricca d’Italia per l’intervallo di tempo chiamato Unità Faunistica di Farneta (circa 1,5 milioni di anni fa).
La “star” della collezione è senz’altro il mammuth, riferito alla specie Mammuthus meridionalis, che trova a Pietrafitta il sito più importante a livello europeo sia in termini di soggetti documentati che di dimensioni degli stessi. Tra i perissodattili, spettacolari sono gli scheletri del rinoceronte Stephanorhinus etruscus, mentre piuttosto rari sono i resti di cavallo (Equus sp.), che evidentemente nel Pleistocene prediligeva ambienti più aridi rispetto a quelli, rigogliosi, presenti a Pietrafitta. Ricchissima la collezione di artiodattili, con almeno due specie di cervi (tra cui la forma gigante Praemegaceros obscurus) e con una delle testimonianze più antiche d’Europa per il gruppo dei bisonti, rappresentati dalla specie arcaica Eobison degiulii, recentemente studiata dai paleontologi dell’Università di Perugia. Degna di nota anche la presenza di un primate, la bertuccia Macaca sylvanus, e del castoro Castor fiber, entrambi presenti con record tra i più ricchi d’Europa. Tra i carnivori di Pietrafitta compaiono un ghepardo gigante (Acinonyx pardinensis), un orso di taglia medio-piccola (Ursus etruscus), un mustelide semiacquatico (Pannonictis nesti), oltre a testimonianze di frequentazione di iena rappresentate da escrementi fossili (coproliti).
Gli uccelli, generalmente molto rari nel record fossile, sono invece molto abbondanti a Pietrafitta, con circa 200 resti scheletrici identificati. La maggior parte è riferibile a specie acquatiche o semiacquatiche simili a quelle oggi presenti nell’area mediterranea, ma con qualche notevole eccezione. Ad esempio, spiccano alcune ossa di un grosso gallo (genere Gallus), che non era mai stato rinvenuto in nessun sito europeo del Pleistocene. I vertebrati “a sangue freddo”, ossia gli ectotermi di Pietrafitta, sono stati oggetto recentemente di studi approfonditi. Rispetto alle precedenti conoscenze, il numero delle specie riconosciute è aumentato, con almeno quattro pesci d’acqua dolce, due anfibi (tra cui l’importantissima segnalazione europea del genere Latonia, una rana “gigante” che si credeva estinta milioni di anni prima), almeno tre serpenti (tra cui la rarissima segnalazione di una vipera orientale) e alcuni splendidi fossili di testuggine palustre e testuggine di Hermann.
L’assidua attività di recupero prima di Luigi Boldrini, assistente capoturno di miniera e dipendente Enel, poi dei ricercatori dell’Università di Perugia ha consentito il recupero di questa enorme quantità di materiale che è tutt’ora in corso di studio. Le informazioni relative all’importante sito di Pietrafitta sono pertanto destinate ad aumentare con il progredire delle ricerche.