Sull’ingresso del lupanare si affacciano delle piccole stanze dove si notano dei letti in muratura con il rialzo per il cuscino, sopra i quali è probabile venisse posto un materasso di paglia (culcita); sopra le porte di ingresso degli ambienti sono presenti sei quadretti affrescati che raffigurano finemente scene erotiche tra un uomo e una donna. Gli studiosi affermano che tra le raffigurazioni e l’edificio in questione ci sia un rapporto funzionale diretto e che le immagini raffigurino personaggi reali in atteggiamenti sessuali. La domanda che sorge spontanea è: chi erano quelle donne e qual’era il loro ruolo all’interno della società romana?
Le meretrici erano per lo più donne schiave o liberte di origine straniera che, per guadagnarsi da vivere, vendevano il proprio corpo ai clienti chiedendo un compenso in denaro che poteva variare dai 2 ai 23 assi in base alla prestazione, come ci suggeriscono alcune iscrizioni presenti su altri edifici pompeiani come le osterie e le taverne, dentro le quali spesso venivano svolte attività di meretricio anche dalle stesse ostesse e cameriere.
Le prostitute vivevano ai margini della società, in quanto erano considerate infames , cioè prive di onorabilità e considerazione a causa dei loro atteggiamenti moralmente riprovevoli e non rispettosi dei valori romani.
Per ricostruire alcuni aspetti della loro vita, oltre alle testimonianze archeologiche ci sono utili anche le fonti letterarie e quelle giuridiche. Basta leggere alcune delle opere del celebre commediografo latino Plauto per notare che, spesso, tra i personaggi compare anche quello della meretrix e della lena, cioè della mezzana ex- prostituta, che è pronta a educare la figlia meretrice su come adescare più clienti possibile. Il rapporto che intercorre tra questi due personaggi femminili è infatti di tipo parentale e, quello che emerge da un’analisi più attenta, è il ruolo autoritario della madre/lena che si comporta allo stesso modo di un paterfamilias cioè ammonendo, impartendo ordini ai propri figli e amministrando il patrimonio familiare.
Dal punto di vista giuridico, le meretrici avevano diritti limitati per il loro attributo di infames: secondo la legge Iulia et Papia del 18 a.C. esse non potevano né fidanzarsi né sposarsi con uomini appartenenti all’ordine equestre, una delle classi più facoltose della società romana; unica eccezione ammessa era il matrimonio tra liberti e prostitute o ex prostitute, seppur con alcune limitazioni. Le meretrici, inoltre, erano considerate donne sulle quali il reato di stupro e di adulterio non poteva essere contemplato, poichè già esercitavano un mestiere turpe e riprovevole.
Nonostante queste donne godessero di una cattiva reputazione, è possibile affermare che avessero un ruolo rilevante all’interno della società romana.
Nel prossimo articolo parleremo delle artiste del mimo nell’antica Roma, le uniche donne a cui era concesso solcare un palcoscenico intrattenendo gli spettatori. Anch’esse però, come vedremo, saranno ricordate dalle fonti letterarie come donne dai facili costumi e dagli atteggiamenti licenziosi.
Caterina Spaterna