Si è rinnovata a Viterbo l’emozione della Macchina di Santa Rosa, l’imponente struttura di 30 metri di altezza che, percorrendo le vie del capoluogo laziale, celebra la devozione alla Santa.
Vederla sfilare è come veder sfilare una bella donna, lei si presenta in piazza del Plebiscito imponente, alta, snella e ha ai suoi piedi ben 100 Facchini pronti a fare tutto per lei.
Si chiama “Gloria” ed è meglio conosciuta come la Macchina di Santa Rosa che, a Viterbo, ha sfilato il 3 settembre per le vie gremite di persone arrivate in città per vederla passare. E’ tutt’altro che una modella quella di cui vi racconto, è una Santa viterbese il cui corpo, per volontà di Papa Alessandro IV, il 4 settembre del 1258, venne trasportato al monastero della Clarisse dove oggi è sito il santuario.
Negli anni successivi i viterbersi, per devozione, ripeterono il percorso con una statua che ritraeva Santa Rosa. Nel 1690 l’immagine venne posta sulla sommità di una baldacchino in legno ornato di fiori e candele. Da allora il baldacchino non ha mai interrotto la sua evoluzione e il suo sviluppo in altezza fino a diventare la “Macchina di Santa Rosa” ideata da Raffaele Ascenzi e costruita da Vincenzo Fiorillo (30 metri di altezza).
Per capire l’emozione di questa giornata serve viverla alla stregua di tutti i viterbesi che conquistano ogni pezzo delle vie della città con asciugamani e sedie e aspettano con pazienza, per ore, l’arrivo della stupenda creatura, in allegria accogliendo turisti e visitatori. Con l’occasione devo ringraziare il Negozio “Bottega d’Arte Cavour” e “Galleria Chigi Naos” che, mossi a pietà dalla lunga attesa in piedi per vedere e fotografare la Macchina, ci hanno offerto ristoro.
La macchina si sposta lungo il percorso a tappe in cui viene posta su dei cavalletti per far riposare i facchini. Le luci al suo arrivo vengono completamente spente in modo da aumentare la suggestione e il coinvolgimento che provoca il monumento mano a mano che si avvicina al posto dove ci si trova.
I Facchini di Santa Rosa “Ciuffi” sono uno degli elementi di vera appartenenza di questa tradizione, per diventare facchino si devono superare delle prove perché durante il trasporto della Macchina ognuno solleva circa 50 kg a fermo, che salgono decisamente quando la macchina cammina. Per non parlare dell’ultimo tratto del percorso in salita, con una pendenza del 12 % che viene compiuto di corsa.
Insomma, al ritmo di sotto…. sollevate fermi!…Sinistro, sinisto, sinistro, il grande spettacolo avvolge e coinvolge il pubblico lasciando un segno indelebile negli occhi e nel cuore di chi si trova lì per la prima volta.
Io ho potuto scrivere tutto questo grazie ai colleghi Benedetta Ferrari e Paolo Gianlorenzo, ne avevo sentito parlare,ma ora so che è vero: “quando la vedi ti viene da piangere…”. Viva Santa Rosa.
Donatella Binaglia
Si è rinnovata a Viterbo l’emozione della Macchina di Santa Rosa, l’imponente struttura di 30 metri di altezza che, percorrendo le vie del capoluogo laziale, celebra la devozione alla Santa.
Vederla sfilare è come veder sfilare una bella donna, lei si presenta in piazza del Plebiscito imponente, alta, snella e ha ai suoi piedi ben 100 Facchini pronti a fare tutto per lei.
Si chiama “Gloria” ed è meglio conosciuta come la Macchina di Santa Rosa che, a Viterbo, ha sfilato il 3 settembre per le vie gremite di persone arrivate in città per vederla passare. E’ tutt’altro che una modella quella di cui vi racconto, è una Santa viterbese il cui corpo, per volontà di Papa Alessandro IV, il 4 settembre del 1258, venne trasportato al monastero della Clarisse dove oggi è sito il santuario.
Negli anni successivi i viterbersi, per devozione, ripeterono il percorso con una statua che ritraeva Santa Rosa. Nel 1690 l’immagine venne posta sulla sommità di una baldacchino in legno ornato di fiori e candele. Da allora il baldacchino non ha mai interrotto la sua evoluzione e il suo sviluppo in altezza fino a diventare la “Macchina di Santa Rosa” ideata da Raffaele Ascenzi e costruita da Vincenzo Fiorillo (30 metri di altezza).
Per capire l’emozione di questa giornata serve viverla alla stregua di tutti i viterbesi che conquistano ogni pezzo delle vie della città con asciugamani e sedie e aspettano con pazienza, per ore, l’arrivo della stupenda creatura, in allegria accogliendo turisti e visitatori. Con l’occasione devo ringraziare il Negozio “Bottega d’Arte Cavour” e “Galleria Chigi Naos” che, mossi a pietà dalla lunga attesa in piedi per vedere e fotografare la Macchina, ci hanno offerto ristoro.
La macchina si sposta lungo il percorso a tappe in cui viene posta su dei cavalletti per far riposare i facchini. Le luci al suo arrivo vengono completamente spente in modo da aumentare la suggestione e il coinvolgimento che provoca il monumento mano a mano che si avvicina al posto dove ci si trova.
I Facchini di Santa Rosa “Ciuffi” sono uno degli elementi di vera appartenenza di questa tradizione, per diventare facchino si devono superare delle prove perché durante il trasporto della Macchina ognuno solleva circa 50 kg a fermo, che salgono decisamente quando la macchina cammina. Per non parlare dell’ultimo tratto del percorso in salita, con una pendenza del 12 % che viene compiuto di corsa.
Insomma, al ritmo di sotto…. sollevate fermi!…Sinistro, sinisto, sinistro, il grande spettacolo avvolge e coinvolge il pubblico lasciando un segno indelebile negli occhi e nel cuore di chi si trova lì per la prima volta.
Io ho potuto scrivere tutto questo grazie ai colleghi Benedetta Ferrari e Paolo Gianlorenzo, ne avevo sentito parlare,ma ora so che è vero: “quando la vedi ti viene da piangere…”. Viva Santa Rosa.
Si è rinnovata a Viterbo l’emozione della Macchina di Santa Rosa, l’imponente struttura di 30 metri di altezza che, percorrendo le vie del capoluogo laziale, celebra la devozione alla Santa.
Vederla sfilare è come veder sfilare una bella donna, lei si presenta in piazza del Plebiscito imponente, alta, snella e ha ai suoi piedi ben 100 Facchini pronti a fare tutto per lei.
Si chiama “Gloria” ed è meglio conosciuta come la Macchina di Santa Rosa che, a Viterbo, ha sfilato il 3 settembre per le vie gremite di persone arrivate in città per vederla passare. E’ tutt’altro che una modella quella di cui vi racconto, è una Santa viterbese il cui corpo, per volontà di Papa Alessandro IV, il 4 settembre del 1258, venne trasportato al monastero della Clarisse dove oggi è sito il santuario.
Negli anni successivi i viterbersi, per devozione, ripeterono il percorso con una statua che ritraeva Santa Rosa. Nel 1690 l’immagine venne posta sulla sommità di una baldacchino in legno ornato di fiori e candele. Da allora il baldacchino non ha mai interrotto la sua evoluzione e il suo sviluppo in altezza fino a diventare la “Macchina di Santa Rosa” ideata da Raffaele Ascenzi e costruita da Vincenzo Fiorillo (30 metri di altezza).
Per capire l’emozione di questa giornata serve viverla alla stregua di tutti i viterbesi che conquistano ogni pezzo delle vie della città con asciugamani e sedie e aspettano con pazienza, per ore, l’arrivo della stupenda creatura, in allegria accogliendo turisti e visitatori. Con l’occasione devo ringraziare il Negozio “Bottega d’Arte Cavour” e “Galleria Chigi Naos” che, mossi a pietà dalla lunga attesa in piedi per vedere e fotografare la Macchina, ci hanno offerto ristoro.
La macchina si sposta lungo il percorso a tappe in cui viene posta su dei cavalletti per far riposare i facchini. Le luci al suo arrivo vengono completamente spente in modo da aumentare la suggestione e il coinvolgimento che provoca il monumento mano a mano che si avvicina al posto dove ci si trova.
I Facchini di Santa Rosa “Ciuffi” sono uno degli elementi di vera appartenenza di questa tradizione, per diventare facchino si devono superare delle prove perché durante il trasporto della Macchina ognuno solleva circa 50 kg a fermo, che salgono decisamente quando la macchina cammina. Per non parlare dell’ultimo tratto del percorso in salita, con una pendenza del 12 % che viene compiuto di corsa.
Insomma, al ritmo di sotto…. sollevate fermi!…Sinistro, sinisto, sinistro, il grande spettacolo avvolge e coinvolge il pubblico lasciando un segno indelebile negli occhi e nel cuore di chi si trova lì per la prima volta.
Io ho potuto scrivere tutto questo grazie ai colleghi Benedetta Ferrari e Paolo Gianlorenzo, ne avevo sentito parlare,ma ora so che è vero: “quando la vedi ti viene da piangere…”. Viva Santa Rosa.
Donatella Binaglia