Nuovi documenti rinvenuti sembrano confutare la convinzione che Machiavelli fu esiliato da Firenze
Niccolò Machiavelli (1469-1527) non fu esiliato da Firenze “come spesso si è sostenuto”: non fu costretto a vivere obbligato per più di un anno nel suo podere dell’Albergaccio, a Sant’Andrea in Percussina, a San Casciano in Val di Pesa, dove concepì “Il Principe”. Lo scrittore rinascimentale poté “invece rimanere a Firenze, e anche andare e venire a suo piacimento nel territorio fiorentino per un anno a partire dal 10 novembre 1512”.
E’ quanto chiarisce, grazie a nuovi documenti recentemente scoperti nell’Archivio di Stato di Firenze, il professore William J. Connell, docente di storia alla Seton Hall University, uno dei più illustri studiosi americani di vicende italiane dei secoli XV-XVI, nel libro “Machiavelli nel Rinascimento italiano”, fresco di stampa da Franco Angeli Editore.
Connell dimostra che nel corso dei secoli sarebbe stata fatta “confusione” sul confino del padre fondatore della scienza politica moderna. Lo studioso, a tal proposito, ricorda le “esenzioni”, garantite dalla Signoria, di cui poté godere Machiavelli durante la “relegatio” nel territorio fiorentino, che gli consentirono di essere convocato a Palazzo Vecchio “per un totale di circa quattro mesi”, per gli affari che intratteneva con la magistratura dei Dieci, per i quali aveva precedentemente lavorato. “La ‘relegatio’ nel territorio fiorentino mise Machiavelli al guinzaglio ma non lo esiliò da Firenze come spesso è stato sostenuto – scrive Connell -. Potremmo in effetti considerare Machiavelli ‘on call’, cioè con l’obbligo di reperibilità, e in aggiunta a certe pendenze riguardanti le sue spese sotto il governo Soderini, è ben possibile ci fossero altri affari, forse legati alla riorganizzazione del lavoro della cancelleria sotto il suo successore, Niccolò Michelozzi, che richiesero la sua disponibilità”.
Il professor Connell dimostra anche come la deliberazione del 17 novembre 1512 con la quale gli fu interdetto l’ingresso a Palazzo Vecchio per un anno in realtà fu aggirata da Machiavelli in più occasioni grazie ai buoni rapporti che mantenne con la magistratura dei Dieci e il personale della sua cancelleria. Nello stesso giorno (il 7 novembre 1512) in cui Machiavelli venne licenziato dalla Signoria dalla sua posizione di secondo cancelliere, “in un documento finora sfuggito agli studiosi”, osserva Connell, i Dieci dichiarano che il loro conto con Machiavelli era stato pagato e chiuso. In questa deliberazione i Dieci non criticano in nulla Machiavelli ed il suo operato, né registrano che egli sia stato specificatamente licenziato, “forse perché la decisione era stata presa invece dalla Signoria, l’organo a capo della Repubblica, e perciò più autorevole dei Dieci, ma anche ben più suscettibile ad influssi politici e di parte”.