Presto in un docufilm la vita e le opere di Mario Lattes, l’artista ebreo rifugiato a Castelnuovo di Farfadurante le persecuzioni razziali.
Sono passati 77-78 anni dai quei terribili giorni in Italia che vanno dall’autunno del 1943 alla primavera del 1945. Terribili per lo sbandamento vissuto dagli eserciti e dalla popolazione, anche quella reatina dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 fino alla liberazione di Rieti nel giugno del 1944. Nessuno sapeva che cosa fare, tutti temevano di fare la scelta sbagliata. Renitenti alla leva, ebrei e militari alleati, sfuggiti dai campi d’internamento e di prigionia in Sabina, ricercati per essere fucilati dai nazifascisti, vagavano per i paesi in cerca di un rifugio sicuro, di cibo e di abiti civili.
Erano i mesi nei quali molti italiani scelsero la delazione per soldi, mandando a morte migliaia di persone innocenti. Altrove, per esempio a Castelnuovo di Farfa come in tutta la Sabina, nonostante la presenza dei tedeschi e di qualche banda di repubblichini, la popolazione scelse in silenzio, con coraggio e umanità di nascondere e di nutrire militari alleati, molti di origine sudafricana, ed ebrei, qualche volta con la complicità delle autorità compiacenti, che avevano notizie dell’avanzata degli angloamericani dal sud Italia.
In merito a questi fatti a Castelnuovo di Farfa sarà presto girato un docufilm sulla vita del pittore, scrittore ed editore torinese, Mario Lattes, nato nel 1923 e scomparso nel 2001. Il giovane Mario, ebreo, per sfuggire alle leggi razziali, fu trasferito dalla famiglia in un primo tempo da Torino a Roma e successivamente, grazie all’aiuto di una castelnovese di nome Bianca, nascosto a Castelnuovo di Farfa, dal novembre del 1943 al maggio del 1944. Queste notizie sono tratte da un romanzo autobiografico di Mario Lattes, “Il borghese di ventura” del 1975, che racconta i cinque mesi vissuti dal giovane Lattes, ventenne, nel piccolo borgo sabino, mesi che furono molto importanti per la sua formazione. Il ricordo di quei tempi e delle straordinarie vicende vissute accanto ad altri rifugiati, sempre a rischio della vita, s’imprimeranno nella mente del giovane per il resto della vita.
Con l’arrivo in paese delle truppe angloamericane, Mario Lattes, che parlava correntemente l’inglese, fu impiegato come interprete e, al seguito dei liberatori, si spostò prima a Rieti e poi verso il nord dell’Italia, fino al termine della guerra.
Il sindaco di Castelnuovo di Farfa, Luca Zonetti, ha chiesto ai cittadini di Castelnuovo, che si sono subito mobilitati, notizie in generale sulla permanenza di Lattes in paese. In particolare sulla donna del paese, di nome Bianca, che faceva la domestica a Roma e portò Lattes a Castelnuovo. E ancora sulla signora Eugenia che gestiva la locanda del paese, dove Lattes soggiornò per alcuni giorni. Nel romanzo si raccontano le passeggiate nel centro storico del borgo, delle grotte presenti sul territorio che offrivano un rifugio sicuro e dell’umanità dei contadini. I castelnovesi hanno individuato la giovane carina che nella locanda cantava e accendeva il fuoco, nel ricordo di Lattes. Si chiamava Giovanna Cassandra del 1920, scomparsa nel 2010. Viveva a Roma ma veniva spesso a Castelnuovo, dove per vent’anni ha tagliato i capelli dall’attuale parrucchiera, che la ricorda bene. Aveva 23 anni quando Lattes la conobbe nella locanda che probabilmente era gestita dalla mamma. Il fratello della giovane, Luigi, 91 anni, che vive a Salerno, ricorda che era lui a 13 anni a portare il cibo a Lattes al casaletto nei pressi della Fonte Cannavina. Nel suo ricordo con Lattes era nascosto un’altra persona, forse un militare alleato. Tutti i giorni, percorrendo oltre tre km, Luigi portava a Lattes il cibo preparato dalla madre, la signora che gestiva la locanda. Mai nulla è trapelato. Ancora oggi i testimoni raccontano questi fatti a bassa voce.
Il paese ha protetto Lattes e gli altri rifugiati mentre ancora c’erano in paese i tedeschi, i quali andarono via solo a maggio del 1944, a causa dell’arrivo da Roma delle truppe alleate. Peraltro si ricorderà che da giugno a settembre del 1943, a 4 km da Castelnuovo di Farfa, fu attivo un campo d’internamento di ebrei. In paese c’è la casa della famiglia Cassandra frequentata solo d’estate fino a qualche anno fa. A circa 3 km dal paese, lungo un percorso non transitabile solo con auto, e non sempre accessibile, c’è la Fonte Cannavina, nei pressi della quale c’era il casaletto dove viveva nascosto Lattes con un’altra persona.
Oggi è escluso poter raggiungere a piedi la fonte. Il casaletto oggi è nascosto dalla vegetazione. Negli anni della nostra storia, invece, dalla Locanda alla fonte e al casaletto la strada era tutta percorribile, perché i contadini, che vi arrivavano con asini muli o cavalli, vi si recavano ogni giorno per coltivare orti e per approvvigionarsi di acqua, che mancava nelle case. Sono confermate le parole di Lattes a proposito di grotte di una cava che facevano da eventuale rifugio di emergenza. Si pensava che l’autore si riferisse alla Grotta Scura. Non sbagliava invece Lattes. Sulla montagna che sovrasta fonte e casaletto ci sono effettivamente due grotte create da una cava del tempo.
A Castelnuovo di Farfa la gente è contenta ed emozionata per i ricordi che sono tornati alla mente ai meno giovani e per i fatti che sono stati ricostruiti per completare quella memoria della nostra storia che abbiamo il dovere di recuperare con orgoglio, perché si tratta di una bella pagina della storia, quella di un paese che, in uno dei momenti più difficili della storia italiana, scelse con coraggio da quale parte stare.
Giuseppe Manzo