Avere la pressione alta mette a rischio anche la memoria e le capacità cognitive. Nuovi studi mettono l’ipertensione, noto fattore di rischio cardiovascolare, sul banco degli imputati anche per quanto riguarda il declino cognitivo, come ricorda Francesco Romeo, direttore della cardiologia Policlinico Tor Vergata di Roma, dal Congresso europeo di cardiologia a Roma.
La nuova ricerca presentata all’Esc 2016 ha preso in esame 48 adulti di età compresa tra 65 e 85 anni, divisi poi in due gruppi: 26 normotesi e 22 con ipertensione controllata da farmaci. Ogni partecipante ha accettato a sottoporsi ad una valutazione neuropsicologica per determinare i livelli di memoria, attenzione, linguaggio e funzioni esecutive, insieme ad un monitoraggio pressorio delle 24 ore e ad analisi del sangue (sodio, potassio, calcio, creatinina, glucosio, trigliceridi, funzionalità tiroidea). Per ogni valore è stata condotta l’analisi di varianza (una tecnica che permette di confrontare gruppi di dati con la variabilità interna ai gruppi e tra i gruppi, nota con l’acronimo Anovas).
I risultati hanno rilevato una differenza significativa tra i due gruppi nei tempi di risposta al Color Word Interference Test (Cwit) in cui bisogna leggere il nome del colore con cui è dipinto il nome di un colore (es. Yellow scritto con inchiostro Rosso, quindi la risposta giusta è Rosso, in psicologia viene chiamato ‘effetto stroop’). “E’ interessante notare – aggiunge Michele Gulizia, direttore Cardiologia ospedale Garibaldi di Catania – come in questo test i pazienti in trattamento mostravano performance peggiori rispetto a quelli del gruppo con pressione nella norma. La ricerca ha anche evidenziato una correlazione positiva tra valori pressori di 135mmHg e i risultati del Trail Making Test parte B che valuta la capacità di pianificazione spaziale in un compito di tipo visuo-motorio: consiste ad esempio nell’unire con una linea lettere e numeri sparsi su un foglio in una sequenza definita, e il punteggio è basato sul numero di secondi impiegati a completare il test”.
“Il gruppo di ricercatori canadesi – aggiunge Gulizia – ha quindi preso atto che una pressione sistolica maggiore di 135 mmHg è un fattore di rischio per prestazioni cognitive, rinforzando l’ipotesi che l’ipertensione debba essere attentamente monitorata e controllata per proteggere anche il cervello”. “Problema non di poco conto se pensiamo che l’ipertensione interessa milioni di connazionali ed è causa di numerose complicazioni cardiovascolari e non – avverte Leonardo Bolognese, direttore cardiologia ospedale di Arezzo – non a caso è stata definita il killer silenzioso che ha lasciato una scia di 240mila morti solo nel nostro Paese, pari al 40% di tutte le cause. La correlazione con la funzione cerebrale risiede nel fatto che nonostante esistano terapie efficaci, solo 1 paziente su 4 riceve un trattamento adeguato e controlla i valori efficacemente. La compliance infatti è un ‘nodo gordiano’: molti soggetti non assumono la terapia in modo corretto, altri non la assumono affatto, che spiega come alcuni casi definiti ‘resistenti’ dipendono invece da problemi di aderenza”.
Controllare l’instabilità pressoria (e non solo il valore medio) – concludono gli esperti – è una strategia per proteggere le funzioni cognitive, così come sottolineato anche da una ricerca pubblicata quest’anno su Hypertension. Da ricordare inoltre è che la pressione alta è il fattore di rischio numero uno per l’ictus e nei soggetti tra 40 e 61 anni il rischio di mortalità cardiovascolare raddoppia ogni 10/20 mmHg in più.