L’ipertensione arteriosa colpisce 17 milioni di italiani (il 33% degli uomini, il 31% delle donne). Uccide ogni anno 7,5 milioni di persone nel mondo. E scatena complicanze cardiovascolari quali l’ictus, infarto del miocardio e insufficienza renale cronica. Inoltre, i due terzi dei pazienti trattati con terapia di prima linea non raggiungono il corretto livello di pressione arteriosa. Ma adesso un nuovo approccio terapeutico potrebbe consentire di salvaguardare gli organi bersaglio del ‘killer silenzioso’: cuore, vasi e reni. E’ quanto emerge dallo studio Escape-It (Efficacy and Safety of Canrenone as Add-on in patients with essential Hypertension), presentato in occasione del 77.esimo congresso nazionale della Società italiana di cardiologia, a Roma.
Lo studio, realizzato da ricercatori italiani con il supporto della società farmaceutica belga Therabel e pubblicato sulla rivista ‘Cardiovascular Therapeutics’, ha riguardato l’utilizzo e l’efficacia del canrenone (antagonista recettoriale dell’aldosterone), in aggiunta agli ‘Ace-Inibitori’ o ‘sartani’ (antagonisti recettoriali dell’angiotensina II) e idraclorotiazide (un diuretico) al massimo dosaggio, nel trattamento dell’ipertensione arteriosa. La ricerca ha reclutato 175 pazienti ipertesi da oltre sei anni (età media 57 anni) divisi in due gruppi: uno trattato con canrenone 50 mg e l’altro con canrenone 100 mg. In entrambi i casi la posologia era di una volta al giorno, per tre mesi.
“Siamo più che soddisfatti – spiega Giovanni Vincenzo Gaudio, medico chirurgo specialista in medicina interna Asst Valle Olona e coordinatore nazionale dello studio -. Entrambi i dosaggi di canrenone hanno ridotto in modo significativo la pressione sistolica e la pressione diastolica. L’aggiunta del canrenone come terzo farmaco ha portato a normalizzare oltre il 70% dei pazienti ipertesi, senza modificazioni statisticamente significative di metabolismo glucidico e lipidico né del quadro elettrolitico. E nessun aumento rilevante dei livelli di potassio. Inoltre il farmaco non solo è ben tollerabile ma rispetto ad altre terapie contrasta la possibilità di una ‘fuga’ dell’aldosterone, bloccando a valle il sistema renina-angiotensina-aldosterone (ras)”.
La terapia di prima linea blocca, infatti, il sistema che produce l’aldosterone (il principale responsabile della genesi e dell’ingravescenza dell’ipertensione) determinandone inizialmente una riduzione. “Quello che succede è che dopo alcuni mesi l’organismo si autoregola e attiva meccanismi alternativi che inducono, comunque, alla produzione dell’ormone – spiega Massimo Vanasia, direttore medico di Therabel -. Quindi l’aldosterone torna a salire e si assiste a un nuovo aumento dei livelli pressori. Questo fenomeno è conosciuto come ‘escape dell’aldosterone’. Il canrenone blocca direttamente i recettori dell’ormone e riporta i valori pressori all’obiettivo, proteggendo inoltre il sistema cardiovascolare dai danni che l’aldosterone può generare a rene, cuore e cervello”.
“Il canrenone esiste già da molti anni, ma nella pratica clinica è stato utilizzato solo in pazienti con danni d’organo già verificati – osserva Giuseppe Derosa, responsabile del Dipartimento diabete e malattie metaboliche del Policlinico San Matteo-Università di Pavia -. Lo studio dimostra in modo inequivocabile la sua efficacia anti-ipertensiva in trattamenti precoci e l’effetto neutro, a differenza di altri diuretici, su profilo lipidico, glicemia e uricemia”. Ma resta importante anche la prevenzione: “La terapia dell’ipertensione è soprattutto comportamentale: uno stile di vita sano, alimentazione bilanciata e regolare attività fisica aerobica, perdita di peso in caso di obesità e astensione dal fumo. Se il paziente è anche diabetico o dislipidemico questi fattori di rischio andranno tenuti sotto controllo”.
“Lo studio Escape ha testato il canrenone come antipertensivo in soggetti ipertesi senza complicanze e che non rispondevano bene a dosaggio pieno con terapia prima linea – ha spiegato Carla Sala, cardiologa e sperimentatrice di Escape -. Aggiunto il canrenone come terzo farmaco si è ottenuta una normalizzazione della pressione senza rilevanti effetti collaterali, soprattutto sul metabolismo e sui livelli di potassio. Sia al dosaggio di 50 mg che di 100 mg non ci sono stati effetti sfavorevoli metabolici”.