E’ una piacevolissima sorpresa l’ultima esperienza autorale di Michele La Ginestra che sta calcando i palcoscenici italiani con la pièce Come Cristo comanda, di cui è anche interprete al fianco di Massimo Wertmüller per la regia di Roberto Marafante. Un testo semplice ed immediato che vuole essere, in primo luogo, spunto di riflessione e riflessione ad alta voce esso stesso.
Semplice non vuol dire elementare. In uno stile “alla Gigi Magni”, come afferma l’autore stesso, tra commedia e tragedia, La Ginestra affida a Cassio, il centurione che guidò i legionari che crocifissero Gesù e Stefano, un suo sottoposto, il compito di verbalizzare le sue riflessioni sui grandi interrogativi della vita.
I due protagonisti hanno crocifisso Gesù, hanno assistito al miracolo della sua Resurrezione ed ora sono in fuga nel deserto: una scena scarna accoglie le due figure; Cassio e Stefano, Estragone e Vladimiro (di beckettiana memoria) “de noantri”, estraniati dal loro contesto, cercano senso e sollievo negli argomenti quotidiani, con la differenza che Godot questa volta è arrivato, è Cristo, anche se non tutti lo hanno riconosciuto.
Ma il qualunquismo dei discorsi su donne, cibo e vita quotidiana nasconde la paura di farsi nuove domande, paura che non appartiene più a Cassio che riesce a “sentire” nuove vibrazioni, a cogliere nuove motivazioni, a ribellarsi allo stato delle cose grazie alla scoperta della figura di Gesù.
C’è una parola che può scardinare l’inesorabile presente, che può far cambiare rotta al destino dell’umanità, che può essere ostacolo al senso di ineluttabilità di un fato che ci sta portando ancora, a duemila anni di distanza dal sacrificio di Gesù, verso l’autodistruzione: quella parola è Oppure. “Oppure” è la porta aperta verso l’alternativa, è la possibilità di scegliere, è l’opportunità che ogni uomo deve sapere e poter cogliere. Niente di umano è ineluttabile, ma ognuno di noi, nel proprio piccolo, deve avere la voglia ed il coraggio di chiedersi “…oppure?” ed agire di conseguenza.
Giustamente rimarcata l’essenzialità della figura della donna, simbolo stesso di vita ed antitesi della morte che, nella figura evocata di Maria al Calvario, trova l’esempio più alto di dignità, di sofferenza, di capacità di offrire il proprio sacrificio per la salvezza universale. La sensibilità, l’empatia, la resilienza delle quali la donna è, per sua natura, particolarmente dotata permette all’uomo, una volta che questi sia in grado di accoglierla come sua pari, il suo completamento: l’istinto e la ragione devono unirsi al fine di completarsi a vicenda e tenere sempre viva l’alternativa dell’ “oppure”.
La figura di Cassio è portata in scena dal grande Massimo Wertmüller, attore al quale lo stesso La Ginestra afferma di aver immediatamente pensato per questo personaggio, volto familiare a tutti gli spettatori italiani e grande interprete, oltre che uomo dalla grande sensibilità, che fa sue le parole di Cassio, un uomo rinnovato che riesce a sentire oltre il suo corpo, percependo il trascendente, rappresentato in scena dalla bellissima voce di Ilaria Nestovito.
Lo stesso Michele La Ginestra interpreta Stefano rivelando notevoli doti drammatiche (oltre che drammaturgiche) poco conosciute al grande pubblico, al quale è noto soprattutto per i suoi ruoli brillanti.
Il dialetto romanesco nel quale, anacronisticamente, si esprimono i due personaggi conferisce leggerezza ai dialoghi e rende ancor di più l’idea dell’apparente superficialità che accomuna il pensare dei due legionari; atteggiamento che nasconde però un senso di disagio, frustrazione e di impotenza che impone di adeguarsi al sistema o di scegliere, eroicamente, l’ “oppure”.
Benedetta Tintillini