Monte Castello di Vibio ed il “baule dei ricordi”

chiave torre di maggio monte castello di vibio

Il fascino del piccolo agglomerato urbano di Monte Castello di Vibio è sicuramente dovuto, a prima vista, alla sua struttura di castrum medievale ancora ottimamente conservata.

Già da lontano la sua silhouette, adagiata su un colle, affascina per la sua posizione strategica sulla valle circostante, facendo pregustare un’atmosfera che, entrando le mura castellane, avvolge chi passeggia tra gli antichi edifici.

Strette vie lastricate conducono a minute piazzette dove si affacciano i monumenti principali di Monte Castello di Vibio: il Teatro della Concordia, di cui ho già avuto il piacere di parlare, le chiese di Santa Illuminata e di San Filippo e Giacomo, il palazzo del Comune.

Della sua storia millenaria Monte Castello di Vibio conserva una raccolta di cimeli, una sorta di baule, si, come quelli conservati in soffitta dove sono riposti alla rinfusa, e anche un po’ dimenticati, ricordi più o meno preziosi senza relazione apparente tra loro, tranne (e non è poco) essere piccoli tasselli di Storia e di storie.

Cominciamo quindi, curiosi, a “rovistare” idealmente in questo baule…

Troviamo, custodita in una teca foderata di velluto rosso, una chiave dalle ragguardevoli dimensioni: è la chiave della porta della Torre di Maggio, uno dei bastioni ancora visibili della cinta muraria della città, posto, ovviamente in posizione strategica. Dalla sua sommità, infatti, è visibile un’ampia parte della vallata e un lungo tratto del fiume Tevere, permettendo di godere, a noi posteri, di un panorama mozzafiato.

Tale chiave fu rinvenuta accidentalmente “a circa 40 cm. Dal suolo nella parte posteriore della Torre di Maggio e precisamente sul lato destro della porta di passaggio alle mura castellane” durante dei lavori, dai signori Aldo Budelli e Renato Ippoliti che la affidarono in custodia al Comune. Pur essendo stata ritrovata nel 1950, fu deciso all’epoca di rendere nota tale scoperta solo dopo molti anni.

Tra stemmi e fregi nobiliari e di confraternite, stampe che ritraggono un progetto riguardante la realizzazione degli argini del torrente Faena alla confluenza con il Tevere (tema quanto mai di attualità, ahinoi, e, senza tirare fuori la storia di “si stava meglio prima”, sicuramente questi documenti testimoniano che, nei tempi passati, c’era molta più cura del territorio), emergono delle testimonianze di rilievo.

Una lettera a firma di Garibaldi inviata al Comune di Monte Castello, ad esempio, della quale desidero riportare qui il breve testo per rendere, almeno in minima parte, l’atmosfera e lo spirito dell’epoca:

“Signor

Incaricato dal Governo e dalla Direzione della Società del Tiro Nazionale di promuovere i Tiri al Bersaglio in tutto il Regno, ho accettato di buon grado il mandato.

Per riuscire nell’intento ho bisogno del concorso di tutti, e specialmente di più ricchi per dare forma ai luoghi di esercizio che allontani i pericoli.

La Carabina è l’arma dei popoli liberi ed intelligenti, dunque la Vostra.

Date tutti il Vostro nome alla Società del Tiro Nazionale.

Ogni Provincia abbia il suo Tiro Provinciale.

Se non in ogni Comune, almeno in ogni Mandamento del Regno vi sia un Tiro di quotidiano esercizio.

Italiani! Il Millione di fucili ci condusse a Palermo e a Napoli. Un millione di Tiratori spazzerà, senza bisogno di aiuti esterni, il Suolo d’Italia dallo Straniero che ancora lo calpesta. G.Garibaldi, 4 Aprile 1862”

La collezione è arricchita inoltre da una spada (probabilmente medievale), alcune sciabole di vari eserciti ed epoche e da un certo numero di palle in pietra; tre elmetti della Prima Guerra Mondiale: uno tedesco, uno italiano ed uno francese ed una maschera antigas,  e due acquasantiere in pietra di epoca medievale.

In una teca sono costuditi dei sigilli per ceralacca ed un trattato su una fonte di acqua minerale locale, mentre in un’altra teca a muro fanno bella mostra di se tre moschetti del XIX secolo: un moschetto Steyr modello 95, con tutta probabilità di provenienza tedesca, ma con lettere arabe incise a  mano a bulino, un moschetto St. Etienne, di fabbricazione francese, con canna a torciglione e l’ultimo di fabbricazione svizzera; 4 fucili a bacchetta ad avancarica del 1822 che, probabilmente, furono utilizzati da alcuni degli otto “garibaldini” montecastellesi durante la spedizione dei Mille. Uno di essi potrebbe essere appartenuto al volontario garibaldino Enrico Ippoliti, originario di Monte Castello, che partecipò a diverse spedizioni fra cui la difesa della Repubblica Romana e l’impresa dei Mille. Proprio in questa occasione il suo fucile fu centrato da un colpo di Mauser sparato da un soldato borbonico durante la battaglia di Caiazzo (1860) vicino alle sponde del Volturno, danneggiando l’arma irreparabilmente.

Richiudiamo virtualmente il baule, solleticati nella curiosità sulle vite di coloro che hanno realizzato, posseduto, ritrovato questi oggetti, storie che si intersecano anche dopo centinaia di anni, e delle quali abbiamo il dovere di essere custodi gelosi, conservandone la memoria per i tempi a venire.

A questo proposito desidero concludere con le parole che Renato Ippoliti rivolse ai suoi concittadini, amaramente valide per tutto il nostro patrimonio: “… che non si accorgono degli incanti del loro paese; che non ne comprendono la caratteristica struttura che non dovrebbe essere distrutta, ma che dovrebbe essere protetta e conservata con passione ed amore…”

di Benedetta Tintillini

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