Giacomo Leopardi (1798-1837) morì “cristianamente”. La religiosità del poeta si manifestò “anche al termine della sua vita”, come testimoniano “alcuni episodi che indicano che alla fine Leopardi è ritornato alla fede della sua prima adolescenza e che la sua morte è stata cristiana”. E’ la conclusione a cui arriva il saggio dal titolo “‘Dopo tanto cercare e indagare, La religiosità di Giacomo Leopardi”, scritto dal padre gesuita Giuseppe Bortone per il prossimo numero della rivista “La Civiltà Cattolica”.
L’articolo propone anche due preghiere poco note del poeta recanatese alla Madonna.
Il periodico della Compagnia di Gesù cita una serie di studi scarsamente conosciuti in base a quali viene ribaltata “l’immagine di un Leopardi anticristiano, morto senza fede”. Padre Bortone pubblica “un importante documento” rinvenuto dall’oratoriano Giuseppe Taglialatela e letto nel febbraio 1908 all’Accademia Pontaniana: si tratta dell’atto di morte di Leopardi, firmato dal parroco della Santissima Annunziata a Fonseca di Napoli, nel cui territorio era la casa dove il poeta morì il 14 giugno 1837.
In esso si legge: “A 15 detto [cioè, giugno 1837], D. Giacomo Leopardi Conte, figlio di D. Monaldo e Adelaide Antici, di anni 38, munito dei SS. Sag.ti morto a 14 d. sepolto idem [cioè, nel Camposanto del Colera] dom.to Vico Pero, n. 2”.
A conferma della testimonianza del parroco, viene pubblicata anche la lettera del notaio Leonardo Anselmi: “Mi trovai in casa Ranieri il giorno della morte del Conte. Verso le quattro pomeridiane il Leopardi chiamò la sorella di Antonio Ranieri, la quale, vestitasi in fretta, uscì di casa e ritornò col parroco, il quale verso le sei pomeridiane gli porta il viatico. La morte avvenne alle otto o alle nove di sera. A tutto questo mi trovai presente e mi ritirai verso la mezzanotte”.
Del resto, lo stesso Antonio Ranieri confessò ad Alessandro Stefanucci Aba, noto magistrato del tempo: “In confidenza ed in segreto ti dirò che Giacomo mi aveva fatto giurare di chiamargli il prete, se lo vedessi in pericolo. E così fu fatto che ebbe il prete, il Viatico e tutti i Sacramenti. Perché dunque, replicò lo Stefanucci al Ranieri, non l’ha pubblicato? Fossi stato un minchione, ripigliò Ranieri, avrei rovinato presso i liberi pensatori il Leopardi, la cui fama presso di loro era tutta nell’incredulità”.
Un altro documento importante, secondo il saggio che verrà pubblicato dalla “Civiltà Cattolica”, è una lettera inviata dal gesuita padre Francesco Scarpa a padre Carlo Curci. In questa lunga lettera padre Scarpa parla del suo incontro con Leopardi: “Il fatto andò così: nell’anno 1836, mentre io confessavo nel Gesù di Napoli, vidi per più mattine, che si metteva questo giovane dirimpetto al mio confessionale, mi guardava fisso per un certo tempo, quasi come se avesse voluto mostrarsi a me, e poi ne andava via. Una mattina che mi vide sgombrato di penitenti, si accostò a me, e con un dolce sorriso e gentili maniere mi favellò in questa sentenza: ‘Padre, avrei a cuore di confessarmi a lei, perché mi ha rapito con le sue belle maniere in accogliere i penitenti; ma prima di
venire all’atto della confessione, vorrei tener con lei lungo ragionamento in qualche parte remota’”.
Nell’articolo di padre Giuseppe Bortone viene esposto in breve anche il mondo religioso di Giacomo Leopardi. Una rilettura delle “Operette morali”, secondo la rivista dei Gesuiti, consente di riconoscere “un cammino dalla negatività dei primi dialoghi, in cui l’uomo è immerso nella morte e nel nulla, alla positività degli ultimi dialoghi, dove si prospettano l’amore e la gloria come soluzione al pessimismo”.