La mostra di Paolo Massei, Segni, Tracce, Sogni – ed Io, allo Spazio 121, offre una “traccia” del suo pensiero, da leggere come essenza della stessa sua ricerca. Artista della materia e della forma, Paolo Massei si confronta adesso con la base dell’opera d’arte, l’elemento minimo per la sua esistenza. Riparte cioè dalla riflessione sul segno, inteso come elemento primordiale ed imprescindibile per lo sviluppo della creatività. Quella traccia, appunto, che emerge dall’interiorità attraversando il corpo, finendo per disegnare i sogni da cui siamo pervasi.
Come racconta nella sua autopresentazione l’idea di fondo è quella di riferirsi ai primordi, senza mancare, tuttavia, di ribadire la propria identità. Quel “ed Io”, presente nel titolo vuole sottolineare la responsabilità che l’artista si assume in prima persona rispetto al mondo, nel momento in cui decide di far emergere il proprio sogno al di fuori di sé. E ciò ben si lega a quel motto “io sono la rivoluzione” che ha determinato le ricerche più recenti di Massei, in particolare riferendosi alla mostra In favore dell’uomo contro la natura.
Alla luce di una contemporaneità sempre più post-umana, sembra dunque significativo confrontarsi con un messaggio così radicato nella poesia di un’attività prettamente umana. L’arte è la scintilla da cui tutto è derivato. L’unica attività che ha permesso la nostra emancipazione dal regno animale. Prima ancora di qualsiasi altra conquista, dietro ogni gesto deviato dalla consuetudine biologica, c’è quel principio d’intelligenza creativa che soltanto l’uomo ha potuto ricevere.
Un dono, il pensiero creativo, da cui abbiamo tratto ogni nostra conquista, dalla più piccola alla più grande. Un dono che nella sua visionarietà – non potendolo descrivere – Kubrick riassume attraverso il nero del monolito di Odissea nello spazio, intimo mistero del cosmo e porta verso le infinite domande cui non potremo mai rispondere.
I segni di Massei ci riportano a quel gesto. Rivisto e interpretato secondo il suo volere. Simbolico, come ogni cosa riguardante la nostra stagione primitiva, ed essenziale. Il frutto di una mentalità primordiale, ancora ignara della propria potenzialità, eppure già capace di sopravvivere agli eventi non più esclusivamente secondo le regole della natura.
Un dono espresso attraverso il culto dei morti o le pitture rupestri; ma anche attraverso le primitive suppellettili e le statuette votive.
Un dono che ha trovato nell’uso delle mani lo strumento più potente. Quelle mani che tracciavano segni, accendevano fuochi, costruivano ripari e che, dopo qualche millennio, avrebbero portato alle prime forme di scrittura.
L’arte risiede in questo mistero primordiale, e tornare ai segni della sua genesi significa immergersi nella fonte della creatività, dissetarsi con l’acqua della conoscenza per rendersi conto della responsabilità che ci è stata affidata.