di Benedetta Tintillini
E’ tornata alla grande, dopo quattro anni di pausa, “Notre Dame de Paris”, l’opera ispirata al romanzo di Victor Hugo, che fu pubblicato per la prima volta a Parigi nel 1831 e che, come il musical omonimo più di un secolo e mezzo dopo, ebbe un immediato successo.
“Notre Dame de Paris” debuttò infatti, nella versione francese originale, il 16 settembre 1998 al Palais des Congrès di Parigi. Quattro anni più tardi, dopo lo straordinario successo della tourneè francese, si pensò di produrre anche una versione italiana, elaborata in quattro anni da David Zard, con l’adattamento dal francese di Pasquale Panella. In Italia, il debutto avvenne il 14 marzo 2002 al Gran Teatro di Roma, costruito per l’occasione. Notre Dame de Paris, è stato cantato in sette diverse lingue e rappresentato in tutto il mondo oltre 4.000 volte.
“E’ il tempo delle cattedrali” canta il poeta Gringoire, e precisamente è l’anno 1482… ma questo tempo, è poi così lontano? Sulle melodie ormai celebri si dipana la storia, mentre gli spettatori, ammaliati dalle coreografie, ascoltano gli zingari cantare la loro rabbia “…noi siamo gli stranieri, i clandestini… o Notre Dame noi ti chiediamo asilo…”.
Un processo psicologico totalmente automatico, a difesa del nostro equilibrio, porta a ritenere le realtà spiacevoli lontane dal nostro vissuto, in modo tale da cullarci in una tranquillità irreale, con la falsa convinzione che tali brutture non possono, in alcun modo, coinvolgerci o riguardarci.
Che fortuna, dunque, vivere nel 2016… Nel 1482, al tempo dello sfortunato Quasimodo, le popolazioni straniere venivano viste con sospetto, soppresse e non accolte, le donne venivano considerate come fonte di piacere, oggetto da possedere o sopprimere, la bellezza esteriore era il valore sul quale apprezzare o meno un essere umano, la religione era uno schermo di perbenismo dietro al quale si celavano le peggiori perversioni, “come fare un mondo dove non c’è più l’escluso? senza povertà…” cantava, e canta ancora, lo zingaro Clopin…
L’edizione di Notre Dame de Paris riproposta quest’anno, che recentemente ha fatto tappa anche a Perugia, ha visto tornare in scena il cast originale, con Giò Di Tonno nelle vesti di Quasimodo e Lola Ponce in quelle di Esmeralda, oltre a Riccardo Maccaferri (Gringoire), Graziano Galatone (Febo), Leonardo Di Minno (Clopin), Vittorio Matteucci (Frollo), Tania Tuccinardi (Fiordaliso).
Sicuramente i grandi successi ed il lungo corso hanno reso Notre Dame de Paris una macchina perfetta e rodata, mantre le basi registrate, senza dubbio, non aiutano l’atmosfera e non rendono al meglio le suggestioni delle composizioni di Riccardo Cocciante; nonostante ciò, dopo un primo momento di diffidenza, durante il quale l’orecchio è stato messo alla prova dall’acustica non ineccepibile, tutto si è sciolto con l’emozione del canto profondamente evocativo e la bravura del copro di ballo, che ha interpretato profondamente l’opera tanto quanto i protagonisti, nonostante la poca interazione tra cantanti e ballerini.
Il crescendo del coinvolgimento emotivo non lascia scampo agli spettatori.
Non si può non vivere in prima persona il dolore dei protagonisti: l’impotenza di Esmeralda verso il potere maschile, considerata come oggetto di piacere, da sopprimere per Frollo e da usare per Febo, il dolore di Quasimodo, il cui universo di sentimenti non gli è dato di esprimere a causa del suo aspetto che lo allontana dalla società e dei pregiudizi che lo condannano.
Nella scena finale il coinvolgimento è totale: non c’è scampo per gli sfortunati protagonisti, Ananke ha compiuto la sua opera, il destino non ha lasciato scampo: la morte è condanna e liberazione, ed è l’unica condizione dove ognuno può finalmente essere sé stesso. La dolce Esmeralda può finalmente danzare libera e Quasimodo, che muore abbracciato a lei, è finalmente libero di amarla.
L’affetto che il pubblico dimostra ad ogni replica è il segno della sua gratitudine verso la bravura e la professionalità del cast, e, per una interpretazione ad altissimo tasso emotivo, chiedete pure allo strepitoso Giò Di Tonno.