Il Pozzo di San Patrizio a Orvieto, mirabile opera di Antonio Da Sangallo, non cessa mai di stupire per la sua geniale concezione
Siamo nel 1527, Roma è presa dai Lanzichenecchi, e Papa Clemente VII Medici, dopo essersi rifugiato a Castel Sant’Angelo, lascia Roma e si rifugia nell’inespugnabile Orvieto.
Il papa si rende subito conto che l’acqua è necessaria per resistere a un lungo assedio: la morfologia della rupe su cui è stata costruita la città e la sua composizione in tufo vulcanico non consentono alla città di attingere acqua, la roccia è porosa e permeabile, l’acqua scende agli strati più bassi, vi è la necessità di costruire un pozzo che permetterà agli abitanti di sopravvivere.
Antonio da Sangallo, uno degli architetti più geniali dell’epoca, fu incaricato da Clemente VII di eseguire i lavori, e progettò un pozzo a doppia elica che taglia la rupe per circa 70 metri di profondità raggiungendo la falda acquifera. Attorno a un corpo cavo centrale si sviluppano due rampe di scale elicoidali indipendenti, il cui accesso è garantito da due distinte porte, un espediente che consente di entrare e uscire dal vano senza mai invertire la direzione. La soluzione ideale per non intralciare chi saliva e scendeva con container o animali. Papa Paolo III Farnese completò la costruzione del pozzo con le pareti cilindriche delimitate da una cornice di basalto decorata con i gigli della sua famiglia. Originariamente chiamato Pozzo della Rocca, nell’Ottocento assunse il nome di Pozzo di San Patrizio. Il santo patrono d’Irlanda, viveva in penitenza e preghiera in ambienti simili a grotte, così questo ambiente suggestivo, che colpì fortemente i suoi contemporanei, fu paragonato a un girone infernale, luogo di penitenza che veniva associato alla figura del santo mistico che evangelizzò l’Irlanda.
Tale è lo stupore di chi nei secoli lo ha ammirato e lo ammira ancora che ormai il Pozzo di San Patrizio è diventato anche un modo di dire: rappresenta l’incommensurabile profondità, l’incommensurabile contenitore che non si riempie mai e che non finisce mai.
Benedetta Tintillini