Ha calcato i palcoscenici di alcuni dei più prestigiosi teatri internazionali, tra i quali il Teatro Greco di Taormina, il Pekin University Hall in occasione delle Olimpiadi della Cultura di Pechino 2008, l’Auditorium della Musica di Roma, il Teatro Luxor di Rotterdam, l’Opera House di Rio de Janeiro , vantando inoltre numerose tournée internazionali con i Kataklò, la nota compagnia di danzatori acrobati. Stiamo parlando di Paolo Benedetti, figura poliedrica che negli anni ha saputo coniugare passioni ed esperienze molto diverse tra loro dalla ginnastica, al teatro, alla danza, dando vita ad un vero e proprio linguaggio di espressione e movimento che lui stesso ha definito AcroPhysicalTheatre.
Lo abbiamo intervistato per capirne origini, percorso e progetti futuri, all’interno di una piacevole conversazione capace di suggerire a chiunque interessanti spunti di riflessione.
Danzatore, acrobata e coreografo: qual è il tuo percorso e quali sono state le esperienze che più ti hanno influenzato?
Nasco come ginnasta e fino ai diciotto anni ho svolto un’attivita’ agonistica a livello nazionale, attività che si è poi interrotta per via di un infortunio. Successivamente alla mia mia esperienza come ginnasta è nata la mia ricerca volta a individuare un linguaggio capace di utilizzare corpo e movimento attraverso uno studio nuovo e originale. Mi sono quindi avvicinato in maniera graduale alla danza contemporanea, e successivamente innamorato del linguaggio di Wim Vandekeybus, che è diventato il mio territorio di studio e d’ispirazione.
Nel mio caso si è trattato di uno studio del contemporaneo molto fisico, una chiave di lettura che mi ha appassionato portandomi a intensificare la mia passione e dando vita ad un vero e proprio lavoro di sperimentazione. L’obiettivo principale è stato quello di cercare di legare lo studio del movimento corporeo a una parte più artistica, portando le competenze acrobatiche in ambito teatrale e generando così un incontro e una contaminazione tra linguaggi diversi.
In questo mio percorso, significativa è stata sicuramente l’esperienza maturata con la compagnia Kataklò, una compagnia molto fisica, atletica, che ha sviluppato un nuovo linguaggio, generando una certa curiosità grazie a un punto di vista più ampio, concettuale, astratto e rappresentativo.
Proprio in relazione ai Kataklò, parlaci del tuo legame con la compagnia sia dal punto di vista del danzatore, sia dal punto di vista del formatore e coreografo.
Il legame con la compagnia Kataklò Athletic Dance Theatre si è sviluppato negli anni, dal 2007 al 2014, impegnandomi prima nel ruolo di danzatore e successivamente sia come direttore operativo dell’Accademia Kataklò, sia come assistente coreografo di Giulia Staccioli, direttrice artistica della compagnia e dell’accademia. e’ stata l’esperienza più significativa e totalizzante mai fatta, quella che più ha dato identità a tutto il mio percorso. un grande arricchimento, in quanto mi ha consentito di costruirmi a livello fisico, artistico e coreutico.
Cosa si intende per AcroPhysicalTheatre? In che modo danza e acrobatica possono incontrarsi dando vita a un nuovo linguaggio coreutico?
AcroPhysicalTheatre è il connubio tra il gesto acrobatico e il gesto coreutico contemporaneo, ai quali si legano in maniera indissolubile un intenso lavoro a terra e una profonda relazione con il partner. Stiamo parlando di tre contenitori diversi, espressioni tecniche e gestuali nate da una personale sperimentazione e contaminazione delle esperienze passate, che si fondono l’un l’altro: esiste una parte di Acrobatica Contemporanea, studio delle tecniche acrobatiche classiche derivanti dalla ginnastica artistica e dalle forme urbane più moderne (parkour, freestyle,ecc..) che attraverso tecniche contemporanee avviano la trasformazione del gesto acrobatico integrandosi così con i vari linguaggi della danza ed entrando nella dimensione teatrale, cambia la sua qualità di movimento, venendo meno alla mera spettacolarizzazione in virtù di un linguaggio più morbido che diventa parte integrante del registro coreutico. Secondo elemento dell’ AcroPhysicalTheatre è L’AcroFloorWork. Fondamentale è infatti il rapporto che lega un corpo al pavimento, permettendo al danzatore di distribuire il peso a terra e utilizzando forza ed energia che scaturiscono direttamente dal contatto con il suolo. Terzo e ultimo contenitore dal quale l’ AcroPhysicalTheatre attinge è il PhysicalContact, contenitore che mette in relazione il lavoro di partnering con i principi della biomeccanica, ponendosi l’obiettivo di generare nella coppia un unico baricentro dal quale attraverso leve e distribuzione dei pesi, generare prese dinamiche ed alto impatto fisico.
Il metodo ed il processo didattico da me proposti, si pongono l’obiettivo di portare il performer ad esplorare il movimento da un punto di vista differente: non si parla di “stile” ma di un utilizzo diverso del corpo e delle forze in gioco, svincolato da una formazione puramente atletica o teatrale e capace per questo di generare forme originali, creando un linguaggio ancora poco diffuso in Italia.
Attualmente sei impegnato con il progetto ResidenzaZero. Di cosa si tratta?
Il progetto ResidenzaZero è un’esperienza di studio intensivo dell’ AcroPhysicalTheatre rivolta a performer contemporanei professionisti o futuri danzatori dai 18 anni in su. ResidenzaZero nasce da un’esigenza personale. Desideravo proseguire in maniera più articolata lo studio di questo linguaggio e per farlo avevo bisogno di lavorare con “materiale umano”, incontrando danzatori con metodi e caratteristiche differenti. Spesso, infatti, chi entra a contatto con il mio linguaggio, pur avendo alle spalle un’ottima formazione, appare inizialmente spiazzato: la difficoltà da parte del performer è quella di dover mettere da parte inizialmente le proprie competenze, per lasciare spazio a nuovo punto di vista; infatti la mia necessità è quella di dover prima formare ed accompagnare nel mio linguaggio un danzatore, per poi riuscire a lavorare in ottica creativa per una futura messa in scena. Ci tengo a precisare che non si tratta di un percorso accademico, bensì di un processo di recupero istintivo dell’approccio e della costruzione del movimento. L’intento è quello di svestirsi da ogni tecnica per permettere il sincero recupero della percezione dell’azione, allontanandosi dall’approccio cerebrale e razionale per riappropriarsi dell’autonomia del movimento, fondamenta necessarie sulle quali, in seconda fase, poggiare le competenze tecniche dei vari linguaggi. Ecco quindi che il nome stesso del progetto nasce dalla congiunzione di due concetti: Residenza, all’interno del quale risiede l’importanza di un tempo dedicato, un ambiente protetto, ideale per spogliarsi dalle proprie tecniche e mettersi in gioco senza essere giudicati, principi base di ogni processo di apprendimento e trasformazione e Zero, in quanto definisce una quantità che deve prendere ancora forma, uno spazio incontaminato, neutro, da riempire. ResidenzaZero vuole quindi mettere in relazione in un dialogo comune il linguaggio fisico/acrobatico con quello della danza contemporanea e il teatro, attraverso quel processo naturale e dinamico che caratterizza i primi anni di vita del bambino, e che lo porta, per mezzo di una sua capacità istintiva, a conquistare tappe motorie di fondamentale importanza in maniera del tutto autonoma.
Nella specifico il progetto si articola in un pacchetto di studio composto da una residenza ad accesso unico della durata di una settimana, dal lunedì alla domenica, con sei ore giornaliere di studio intensivo, più due week end di approfondimento facoltativi, da dodici ore ciascuno. Ogni Residenza si svolge inoltre in una location diversa: dopo la tappa a Milano, a cavallo tra agosto e settembre scorsi, le prossime Residenze mi vedranno impegnato a Udine, Perugia e Pomezia. Una scelta che nasce dalla necessità di poter visionare un maggior numero di performer, consentendo a più persone di entrare a contatto con l’esperienza di AcroPhysicalTheatre, nella speranza di individuare, nel tempo, un gruppo selezionato di performer contemporanei da coinvolgere in un successivo Progetto di Residenza Artistica, finalizzata alla messa in scena.
Per concludere, in base alla tua esperienza personale e artistica maturata finora, quali consigli ti senti di dare ai giovani danzatori che decidono di intraprendere la carriera coreutica?
Sicuramente consiglio a tutti uno studio ampio e completo prima di individuare il contenitore più affine, all’interno del quale sicuramente sarà possibile esprimersi con più successo. Spesso, infatti, un approccio troppo schematico rischia di essere limitativo ai fini di una formazione completa del proprio corpo sia da un punto di vista fisico, sia artistico. In particolare modo credo che oggi il panorama internazionale richieda la capacità di saper rispondere a esigenze molto diverse, per le quali è necessario avere un approccio a 360°, senza il quale si rischia di esser tagliati fuori da alcune importanti esperienze lavorative quali teatro, musical, e produzioni tv. Consiglio quindi a qualsiasi performer di ottimizzare il più possibile il proprio studio, talvolta anche allontanandosi da ciò che ci appare più congeniale, puntando piuttosto a essere trasversali.
Francesca Pantaleo