A Perugia la mostra fotografica Assolo – I volti della solitudine

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Una mostra fotografica curata dallo scrittore e poeta Bruno Mohorovich ha indagato i volti della solitudine. 8 fotografi hanno esposto le loro opere reinterpretando questo stato dell’animo umano con estro e sensibilità

 

Il giorno 27 gennaio alle ore 16,30 presso i locali della Biblioteca di Villa Urbani in via Pennacchi 9 a Perugia si è inaugurata la mostra fotografica avente per titolo Assolo – i volti della solitudine che rimarrà aperta al pubblico fino al 20 febbraio. L’ingresso è libero.

Serena Nofrini, Rita Peccia, Angelo Angelucci, Camilla Gubbiotti, Gianluca Paffarini, Sergio Ziggiotto dalla Valle d’Aosta, Astolfo Lupia e Mara Pianosi dalle Marche, sono i fotografi che hanno letto questo stato d’animo dell’uomo con la sensibilità che deriva loro dal saper fissare immagini e momenti che forniscono un’ulteriore occasione di riflessione. Non, come nel sentire comune, una rappresentazione della solitudine legata a momenti drammatici dell’esistenza degli individui, ma la solitudine che si riflette nel silenzio di una montagna o nell’estasi di una preghiera o nel dolce e tenero riposo di una bambina; insomma quei frammenti di vita che l’uomo ricerca per stare solo con se stesso e confrontarsi con la sua anima, traendo pace e serenità da quanto lo circonda e dall’ambiente che vive.

L’iniziativa, curata dal poeta e scrittore Bruno Mohorovich, è nata ad integrazione  dell’evento presentato dal gruppo di scrittura autobiografica “Tempo per sé”, attivo presso i locali della Biblioteca da circa 3 anni, che ha presentato la sua produzione scritta sul medesimo tema, sviluppato nel corso dell’anno.

In inglese il significato di “solitudine”si avvale di due termini: “solitude” per esprimere la scelta di essere soli (l’uomo solitario che sta bene con se stesso), e “loneliness” per esprimere una solitudine sofferta e non scelta.

E quella che hanno celebrato gli artisti, con questa mostra prima e con le letture autobiografiche poi, è la solitudine come noi la interpretiamo, la viviamo, la sentiamo.

Apparteniamo ad un tempo in cui siamo portati a sacrificare la nostra vita di relazione, meglio… la viviamo da soli con il tramite dei social, esasperandone il concetto: abbiamo dimenticato cosa sia guardarsi l’un l’altro, toccarsi, avere una vera vita di relazione, curarsi l’uno dell’altro. Non sorprende se stiamo morendo tutti di solitudine. L’uomo dalla natura ha ricevuto un dono: il bisogno di avere qualcuno con cui comunicare, mettersi in contatto con il prossimo. Altrimenti, una persona semplicemente perde il legame spirituale con il mondo.

L’occhio degli artisti ne ha voluto cogliere l’aspetto positivo (almeno nella gran parte delle opere esposte), laddove la solitudine ci fa ritrovare

– il silenzio della montagna di  Sergio Ziggiotto al cui cospetto l’uomo gode il piacere della solitudine perché ne acutizza la sensibilità ed amplifica le emozioni;

– il sacro nelle immagini di Rita Peccia, che invita alla riflessione ed al dialogo interiore; sacro che si compenetra nelle antiche mura e nello stagliarsi di figure immote sul tramonto;

 

– la natura di Serena Nofrini che si manifesta nell’esaltazione della luce al tramonto o nella notte sui tetti con la luna custode di remoti pensieri e ancora un prato che è occupato da una bambina che gioca con i fiori, completamente estranea a ciò che la circonda;

– quella di Astolfo Lupia che ne celebra la forza fino a perdersi nell’orizzonte, attingendo al cinema, a quei paesaggi, aridi in apparenza e così pasoliniani non rinnegando, almeno in quel gazebo sul mare, echi felliniani;

ed ancora la natura fissata dall’artista pesarese Mara Pianosi, che si rivela nella quiete di paesaggi lacustri, nell’attesa degli animali e nel muto ed ancestrale raccoglimento che si spande tra  le mura di un’antica pieve;

Non poteva mancare in una rassegna fotografica siffatta la ricorrente immagine della figura umana, come quella evocata dalla giovanissima Camilla Gubbiotti, con l’anziana seduta che volge il suo sguardo pensierosa, sì, ma non triste… anzi; e sempre della giovanissima artista diciassettenne, oggetti che appartengono al quotidiano come un vecchio paio di ciabatte o la casina dei giochi nel mezzo di un giardino: tutto racconta una storia.

O la mestizia del barbone addormentato sulla panchina avvolto in un panneggio quasi rimembrante un’antica vestigia classica di Gianluca Paffarini,che racconta della difficoltà della vita, della paura della realtà e della riconquista di sé.

La rassegna non poteva non evocare le immagini suggestive di un’Umbria (o meglio di personaggi umbri), ritratta con occhi nostalgici da Angelo Angelucci; queste appartengono ad un mondo arcaico e le figure vivono i loro momenti raccolti in se stesse, nello scambio di un gesto, nello scrutare lo spazio innanzi a loro.

Questi artisti ci hanno fatto dono del loro guardare, cogliendo uno sguardo sull’essere soli che sa la bellezza d’intorno, la fanno propria, l’assaporano fino a renderla viva rendendoci partecipi di quel mirare e rimirare che respira ed empie l’anima facendo si che ognuno di noi – rifuggendo dal pensiero poetico di Quasimodo “Ognuno sta solo sul cuor della terra” – abbia a dire che non vuole stare da solo ma, voglia essere lasciato da solo nel piacere della contemplazione e nella consapevolezza che tramite essa si può preparare un nuovo incontro perché la solitudine porta alla riflessione, le riflessioni conducono alla conoscenza, la Conoscenza conduce alla libertà…

Bruno Mohorovich

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