La Giunta della Regione Umbria ha vietato l’utilizzo della pillola abortiva RU486 in day hospital e con terapia domiciliare. Le donne che vorranno farvi ricorso dovranno essere ricoverate tre giorni. Una decisione gravissima che non rispetta le donne. La pillola abortiva costituisce nel nostro paese il tipo di aborto farmacologico al quale si ricorre spesso per un’interruzione di gravidanza entro i primi due mesi.
Si tratta di una pratica che, in Italia, raccoglie oggi molte adesioni. In realtà la RU486 è solo una parte dell’aborto farmacologico, che utilizza due farmaci diversi, la Myfegine, che è la vera e propria RU 486, e una prostaglandina, assunta due giorni dopo la prima pillola, che aiuta a completare il processo abortivo nel giro di una settimana. L’intero processo abortivo dura circa una settimana/nove giorni, dopo il quale si torna lentamente alla normalità. L’aborto farmacologico funziona con una percentuale che sfiora il 99%.
La decisione abortiva, come tutte le donne sanno bene, non è mai presa a cuor leggero. Complicare questo percorso obbligando le donne al ricovero, come la Regione Umbria ha deciso, non solo è ingiusto, ma dà un colpo all’autonomia decisionale e alla privacy delle donne e soprattutto alla Legge 194 del 22 maggio 1978, che fu conquistata dopo lunghe e dure lotte.
Legge già molto ostacolata dall’obiezione di coscienza che in alcune regioni italiane interessa purtroppo la maggior parte dei ginecologi. La decisione della Presidente Donatella Tesei di aumentare da uno a tre i giorni previsti per il ricovero per l’aborto farmacologico, è diventata un caso nazionale. Una decisione unilaterale condannata dalle forze politiche di opposizione in giunta regionale, che l’hanno giudicata un atto grave.
Bene ha fatto il Ministro della Salute Speranza a chiedere subito un nuovo parere al Consiglio Superiore di Sanità che, in verità, nel 2010 aveva scaricato sulle regioni la decisione di scegliere la procedura da seguire tra ricovero e day hospital.
Molto appropriato è sembrato l’intervento della vice ministro dell’economia, Laura Castelli, che ha dichiarato all’AdnKronos: “I diritti delle donne non si toccano. La Legge 194 va rispettata e applicata, anche dalle regioni. A partire dall’Umbria, dove una donna, ed è la cosa che mi lascia più perplessa, pensa di farci tornare indietro nel tempo di oltre 40 anni”.
In realtà dietro questa decisione della Regione Umbria si nascondono forze politiche che vogliono rimettere in discussione molte conquiste democratiche degli ultimi anni. Forze che dimenticano che la legge 194 fu innanzitutto il risultato di anni di lotte delle donne, che portarono nel 1978 un ampio schieramento politico ad approvare una legge di civiltà, che garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio (art.1).
Come sempre le donne chiedono solo una cosa, che il tema dell’aborto non diventi un’occasione di scontro politico, ma resti un tema sul quale solo le donne possono autodeterminarsi e scegliere.
Giuseppe Manzo