Serata spensierata quella di venerdì scorso a Norcia insieme a Riccardo Rossi che, nell’ambito dell’Estate Nursina organizzata dal Comune di Norcia, ha portato in scena il suo spettacolo dal titolo “Così Rossi che più Rossi non si può”, ereditato da un suo libro e, senza dubbio, ispirato allo slogan di uno spot pubblicitario molto famoso negli anni ’70.
Ed è un Amarcord quello che ci propone Riccardo, tra episodi da “telefono azzurro” che, più o meno abbiamo subìto tutti durante la nostra infanzia da mamme eccessivamente amorevoli e apprensive e i ricordi di una giovinezza che sembra lontana nel tempo quanto vicino è “l’inizio della fine” al compimento dei 50 anni.
Fatti e misfatti che accomunano tutti e con i quali siamo stati, siamo e saremo sempre alle prese, in un racconto, sempre garbato e mai volgare, delle proprie esperienze diventate gag irresistibili.
Ma per chi è vissuto a Roma nel suo stesso quartiere, in quell’epoca, è anche occasione per un nostalgico flash back che ti ruba un sorriso mentre ripensi alle scarpe ortopediche Balducci (con gli occhielli d’estate e a scarponcino correttivo d’inverno) che eri costretta a mettere, alle domeniche al parco di Villa Glori con il giro sul pony immortalato da una foto, ai biscotti Gentilini per la prima colazione che, all’epoca, si vendevano sfusi, fino ai primi tentativi di essere “alla moda” con le T shirt della “Fruit of the Loom”, ambitissime magliette che, con il tempo, sono state declassate a prodotto dozzinale e che per noi erano un must.
Vivere in un quartiere alto borghese di Roma non era per niente facile, soprattutto per chi di quegli ambienti non ne faceva parte; a quanto pare dai racconti di Riccardo non era facilissimo neanche per chi della borghesia faceva parte: probabilmente anche tra loro esistevano differenze di conto in banca che io, all’epoca, non percepivo. Toccavo con mano però la differenza di provenienza, di livello culturale delle famiglie, la difficoltà dell’integrazione (soprattutto quando ero invitata a feste bellissime, dove regolamente mi sentivo inadeguata come il piccolo Zorro alla festa di carnevale riconoscibile solo dal cappello, e ai cui inviti non potevo ricambiare) o quando, al rientro da scuola, la maestra ci chiedeva dove avevamo passato le vacanze (che io trascorrevo in Umbria, dai parenti, mentre i miei genitori restavano a lavorare a Roma).
Ma l’ambiente in cui sono cresciuta mi ha reso ciò che sono, mi ha donato opportunità di crescita culturale e umana, e forse mi ha dotato di un certo senso dell’umorismo, lo stesso che porta in scena Riccardo Rossi nei suoi spettacoli e che ci ha reso consci di aver vissuto in un bel periodo, quando l’età e la spensieratezza contribuivano e rendere tutto rosa, quando potevi dormire tranquilla sul sedile posteriore della macchina durante un viaggio con mamma e papà, con la incrollabile sicurezza che niente di brutto avrebbe potuto mai accadere.
Riccardo ha espresso vicinanza e solidarietà agli abitanti di Norcia, per i quali certo non è facile vivere in un luogo dove, ogni giorno, le ferite del terremoto sono vive e tangibili; ma anche una serata spensierata, come quella vissuta sotto la statua di San Benedetto, può essere terapeutica ed aiutare a vedere il futuro meno grigio.
Chissà se fra qualche decina d’anni Riccardo Rossi ci farà ridere ricordando questo strambo e difficile presente, continuando a scherzare sulle nostre ansie e le nostre fragilità.
Benedetta Tintillini