In un ideale fil rouge con la prima intervista a Luca Tomio, possiamo affermare con ulteriore convinzione che “non c’è Rinascimento senza Umbria”.
Il prossimo 15 novembre sarà presentata a Seveso la nuova guida gratuita, edita da Fondazione Lombardia per l’Ambiente con il contributo di Città Metropolitana di Milano, dal titolo “I luoghi dell’anima, i paesaggi lombardi di Leonardo da Vinci tra terra e acqua”, che concentra l’attenzione sui tutti i paesaggi disegnati e che fanno da sfondo alle opere di Leonardo da Vinci, tra cui spicca lo splendido paesaggio prealpino alle spalle della Monna Lisa.
Incontriamo l’autore dell’opera, Luca Tomio a Perugia, durante le riprese del documentario che sta realizzando in questi giorni sulla figura e le opere di Raffaello Sanzio, in qualità sia di host, ovvero conduttore, che di consulente scientifico, con la regia di Luca Trovellesi Cesana e Claudio Centioni quale responsabile della sceneggiatura.
La guida “I luoghi dell’anima”, fresca di stampa, sottolinea l’importanza di un elemento in apparenza secondario in una composizione pittorica, quale il paesaggio di sfondo, durante il Rinascimento, qual è la sua rilevanza dal punto di vista artistico? E quale la sua importanza per promuovere un territorio?
Nel caso del documentario su Raffaello, proprio questo argomento sarà trattato con il cartografo Sergio Trippini che, come me, vive tra l’Umbria e la Lombardia; con lui viene sviluppata la correlazione, proprio negli anni in cui è attivo Raffaello, tra la nascita della cartografia e lo sviluppo del paesaggio nei dipinti. Leonardo da Vinci è stato l’autore in cui la compenetrazione tra queste due discipline è stata preponderante. Quando Leonardo rientra a Firenze, nel marzo del 1500, dopo la caduta di Ludovico il Moro, grazie anche all’amico cartografo Francesco Rosselli matura una competenza cartografica in cui si applicherà negli anni che lo vedranno al seguito delle truppe di Cesare Borgia e della Repubblica Fiorentina. Sulla scorta di questa maturata competenza cartografica, una volta rientrato a Milano nell’estate del 1506, dove vivrà per sette anni, Leonardo realizzerà stupendi disegni di paesaggio della Lombardia, molto dettagliati e realistici, che andranno anche a fare da sfondo a capolavori come la Monna Lisa e la Vergine col Bambino e la Sant’Anna.
Dalla Lombardia all’Umbria, ci troviamo ora in una città che ha visto operare i maggiori pittori coevi (più o meno) di Leonardo quali Perugino e Pinturicchio e Raffaello, anche nelle loro opere il paesaggio è ben definito e riconoscibile…
Il Rinascimento non comporta solo il recupero dei modelli classici in pittura e in filosofia, ma anche quello della conoscenza del territorio. Leonardo, Perugino, Raffaello, Bramante sono artisti che si correlano tra loro non solo dal punto di vista stilistico ma i cui destini di incrociano sulle vie d’Italia: quelle consolari romane riattivate ma anche quelle medioevali, tra le colline e perifluviali, quelle che percorreva San Francesco. Se il “cavallo” del santo erano i piedi, Raffaello non dobbiamo immaginarcelo solamente davanti al cavalletto, al contrario, come Leonardo ha passato molto del suo tempo a cavallo, nel suo caso soprattutto nei territori dell’Italia Centrale tra Urbino, Perugia, Firenze e Roma.
Anche se di Raffaello poco si conserva nel capoluogo umbro, nuovissima è la riscoperta della Crocifissione di Sant’Agostino annunciata in questi giorni, in concomitanza con le riprese del documentario “Raffaello. Il genio sensibile” che la Sydonia Production sta realizzando in esclusiva nazionale per la RAI, in occasione del Cinquecentenario promosso da Urbino e dalle Marche.
Nelle vicende artistiche di Raffaello hanno sempre avuto grande rilevanza Urbino, Firenze e Roma. Forse anche per il fatto che le molte opere realizzate da Raffaello, durante il suo soggiorno a Perugia tra il 1500 e il 1504, ma anche quando si era trasferito a Firenze, tra il 1504 e il 1508, sono emigrate nei principali musei del mondo. Perugia non è mai stata correttamente percepita come il luogo in cui Raffaello si è formato dopo Urbino assimilando la lezione di Perugino, Pintoricchio, e anche quella di Signorelli a Città di Castello e a Orvieto, come dimostra la riscoperta dell’affresco eseguito da Raffaello all’età di 17 anni, la sua prima opera in assoluto, nell’Oratorio di sant’Agostino a Perugia. L’oratorio di Sant’Agostino si trova nel quartiere di Porta sant’Angelo, il quartiere in cui era nato e aveva bottega colui che introdusse Raffaello in Umbria: il Pintoricchio, autore della meravigliosa Cappella Bella di Spello. Ho avuto l’opportunità di esplorare la zona di Porta sant’Agnelo con il competente sostegno di Guido Barbieri, Comandate dei Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, e grazie al Sodalizio Braccio Fortebracci, proprietario dell’Oratorio di Sant’Agostino, sono sceso con il sindaco Andrea Romizi alla riscoperta di questo capolavoro del Rinascimento inspiegabilmente caduto nell’oblio dopo la sua prima scoperta trent’anni fa ad opera di Filippo Todini, massimo esperto della pittura umbra del Rinascimento, che aveva al suo fianco, come me oggi, il restauratore ed editore tuderte Marcello Castrichini.
Quali sono le principali e più importanti opere di Raffaello delle quali l’Umbria è rimasta orfana? Dove sono ora?
A Città di Castello erano la Pala di San Nicola da Tolentino, danneggiata da un terremoto alla fine del ‘700 e ora frammentata in vari musei, e la Crocifissione che realizzò per la famiglia Gavari e ora alla National Gallery di Londra e lo Sposalizio della Vergine ora alla Pinacoteca di Brera a Milano. A Perugia c’erano le due pale fatte realizzare dalle figlie di Braccio Baglioni: per suor Ilaria Baglioni la Pala Colonna, ora al Metropolitan Museum di New York e per sua sorella Leandra l’Incoronazione della Vergine in San Francesco al Prato. La Pala Baglioni è oggi alla Galleria Borghese e la Pala Ansidei ancora alla National Gallery di Londra. Insieme alla Soprintendente ai Beni Archivistici dell’Umbria e delle Marche, Giovanna Giubbini, abbiamo letto per il documentario il passo conservato nel Memoriale delle Suore Clarisse di Monteluce che attesta la fama raggiunta da Raffaello dopo pochi anni dal suo arrivo in città: se nel 1500 Perugino era ancora il miglior maestro d’Italia, consacrato con gli affreschi al Collegio del Cambio, nel 1505, proprio a Perugia, Raffaello lo aveva battuto sul campo, ottenendo ben cinque commissioni importanti contro l’unica ottenuta dal vecchio maestro.
A Perugia però resta l’ultimo lavoro che Raffaello lasciò incompiuto a causa della sua improvvisa partenza per recarsi nella Roma di Giulio II per affrescare le Stanze Vaticane.
A San Severo, in un commovente abbraccio, si può ammirare l’affresco di Raffaello che venne terminato, dopo la sua morte, dal suo vecchio maestro, anche lui ormai al tramonto della vita. Il genio è qualcosa che si misura con il metro dell’eternità e in quest’opera solenne i destini di questi due giganti del Rinascimento sono indissolubilmente legati per sempre: l’artista muore e l’opera resta.
Avremo mai la possibilità di ammirare di nuovo uno di questi capolavori nel luogo dove sono stati commissionati, concepiti e realizzati? Sarebbe un evento epocale per Perugia e tutta l’Umbria, oltre a sottolineare, una volta per tutte, il ruolo del capoluogo umbro nell’ambito dell’arte del Rinascimento.
Con l’assessore alla Cultura di Perugia Leonardo Varasano siamo andati in un luogo simbolo di questo vulnus subito da Perugia: San Francesco al Prato, il pantheon delle glorie cittadine che conservava capolavori come la Pala Baglioni e la Pala degli Oddi di Raffaello o anche la Resurrezione di Cristo del Perugino. Vuoi per una prevaricazione del cardinale Borghese, vuoi per le soppressioni napoleoniche, queste opere non sono più qui ma, nel programma del Comune di Perugia, c’è l’imminente progetto di riproporre il contesto originario grazie all’ausilio delle nuove tecnologie, un progetto molto suggestivo e di grande impatto.
C’è la possibilità che per il 2020 ritorni a Perugia una delle opere di Raffaello emigrate?
Io mi posso impegnare personalmente a farmi latore presso il Museo dell’Ermitage del desiderio del Comune di Perugia di poter esporre la Madonna del Bambino originariamente realizzata da Raffaello per la famiglia Alfani e poi acquistata dall’emissario dello Zar Alessandro II nel palazzo dei Conestabile della Staffa che sorge proprio davanti al Duomo. Nel 1871 i perugini fecero orgogliosamente e strenuamente l’impossibile per trattenere l’opera in città, ma non riuscirono a tenere testa all’immensa potenza economica dello Zar Alessandro II.
Per il documentario ti sei recato anche a Villa San Martinello?
Sì, in questa magnifica villa della famiglia Caucci Von Sauken è conservato un ricco archivio delle famiglie nobili perugine con cui Raffaello ha avuto a che fare: gli Ansidei, gli Alfani, i Baglioni, i Connestabile della Staffa, i Degli Oddi. Insieme a Jacopo Caucci Von Sauken e all’imprenditore-artista Massimiliano Mamo Donnari, che mi accompagna anche nei tetri recessi delle case dei Baglioni in cui vennero consumate le efferate Nozze Rosse, abbiamo realizzato qui il plot centrale del documentario, quello in cui si spiega del perché Raffaello sia stato un “genio sensibile”.
Prima Leonardo, ora Raffaello… Progetti futuri?
Con piacere ho potuto osservare come le riprese perugina siano state l’occasione per i primi contatti tra la Sydonia Production e il Comune di Perugia al fine di realizzare un documentario anche in occasione delle celebrazioni dei 500 anni di Pietro Perugino, in programma per il 2023.
Benedetta Tintillini
In foto, da sin.: Massimiliano Donnari, Guido Barbieri, Leonardo Varasano, Andrea Romizi, Luca Tomio, Reginaldo e Nicolò Ansidei.