Capire i diversi meccanismi alla base delle malattie di cuore e vasi, con un ‘occhio di riguardo’ per colesterolo, diabete e obesità, ma anche come le diverse categorie di pazienti devono essere trattate e quanto la cardiologia possa essere personalizzata.
Se ne è parlato al congresso dal titolo ‘New strategies for reducing cardiovascular risk: from old factors to emerging and therapeutic opportunities’, organizzato a Napoli nei giorni scorsi dalla Scuola di medicina e chirurgia dell’Università Federico II e promosso dalla Fondazione Internazionale Menarini.
Una delle sessioni principali del congresso ha riguardato il controllo del colesterolo e quali siano i livelli ottimali per ridurre il rischio cardiovascolare: “Le linee guida europee raccomandano che il livello target di colesterolo Ldl venga definito sulla base del rischio individuale di eventi cardiovascolari fatali, in un intervallo che va dai 70 ai 100 milligrammi per decilitro – avverte Alberico Catapano, docente di farmacologia all’Università degli studi di Milano – Le linee guida inoltre suggeriscono per i soggetti ad alto rischio di dimezzare il livello del colesterolo se è eccessivo, anche andando sotto i limiti. Per esempio, se i livelli di Ldl di un paziente sono 100, non ci si deve accontentare di raggiungere il livello raccomandato di 70 mg/dl ma si devono ridurre i livelli del 50%, quindi arrivare a 50 mg/dl”.
Anche l’obesità e i tessuti adiposi ‘giocano’ un ruolo attivo nel determinare conseguenze patologiche, conferma Dario Leosco, docente di medicina interna all’Università Federico II di Napoli: “Come conseguenza dell’espansione dei depositi di grasso – spiega – le cellule grasse sviluppano una modificazione fenotipica che determina una modificazione nelle sostanze scambiate dalle cellule, come le adipocitochine. Queste sostanze sono coinvolte nella modulazione del glucosio e dei lipidi, nella biologia vascolare e anche nella risposta infiammatoria.
Questo processo rappresenta un importante collegamento con le complicanze arteriosclerotiche e gli eventi cardiovascolari”. Stefan Anker, docente di cardiologia all’Università di Göttingen, Germania, ha sottolineato il collegamento tra insufficienza cardiaca e diabete: “L’insufficienza cardiaca è una sindrome associata a un vasto numero di altre malattie, incluse insufficienza renale, patologie respiratorie, anemia, depressione, soltanto per nominarne alcune. Per quanto riguarda il diabete, spesso coesiste con l’insufficienza cardiaca, ma d’altra parte il diabete di per sé rappresenta un rilevante fattore di rischio per lo sviluppo di insufficienza cardiaca – spiega Anker -. E dato che il diabete è in aumento in tutte le parti del mondo, è probabile aspettarsi una crescita esponenziale di persone con diabete e insufficienza cardiaca nei prossimi anni.
Nello stesso tempo è sempre più chiaro che le persone con insufficienza cardiaca e diabete sono diverse dal punto di vista clinico rispetto alle persone con insufficienza cardiaca, ma senza diabete. Per questo motivo i medici devono gestire in modo diverso queste due categorie di pazienti, anche con terapie differenti”. Durante il convegno è stata segnalata anche l’associazione tra alterazioni del sistema circolatorio e aumentato rischio di sviluppare Alzheimer: “Questa malattia rappresenta la causa più frequente di demenza senile ed è tradizionalmente definita dall’accumulo negli spazi extracellulari del cervello di depositi insolubili di una sostanza, la beta-amiloide – avverte Bruno Trimarco, docente di malattie cardiovascolari all’Università Federico II di Napoli -.
Per ridurre questo processo, elemento importante è la riduzione dello stress ossidativo che altera la barriera emato-encefalica, che favorisce un accumulo di amiloide. I dati su alcuni farmaci e nutraceutici che determinano una riduzione dello stress ossidativo sembrano offrire dei vantaggi in questo settore, soprattutto quelli che favoriscono l’aumento di ossido nitrico nel sangue. L’ossido nitrico viene utilizzato per migliorare la trasmissione a livello sinaptico e questo sembra essere un elemento importante per prevenire il deficit cognitivo. Per questo motivo – sottolinea – sono allo studio nuovi farmaci anti-Alzheimer che agiscono a livello delle sinapsi neuronali proprio con l’aumento di ossido nitrico nel sangue”.