In Italia una struttura sanitaria su due (49%) non rispetta i volumi minimi di attività fissati dal Ministero della Salute per quanto riguarda gli infarti. Solo il 51% raggiunge infatti i 100 casi annui di infarto miocardico acuto di primo ricovero. Il dato emerge da un’indagine di ‘Doveecomemicuro.it’, il motore di ricerca che aiuta i cittadini nella scelta della migliore struttura sanitaria per la propria salute, e rappresenta un campanello d’allarme non soltanto in termini di riorganizzazione della rete ospedaliera.
Come dimostra una vasta letteratura scientifica, infatti, i volumi hanno un notevole impatto: dove si fanno più interventi è più probabile che gli esiti siano migliori. “Ormai sono numerose le prove in letteratura che confermano che per molte condizioni cliniche e interventi esiste un’associazione tra il volume di attività e l’esito delle cure, in particolar modo in termini di mortalità intra-ospedaliera o a 30 giorni dal ricovero/intervento”, conferma Elena Azzolini, specialista in Sanità Pubblica.
“Per tali situazioni è possibile affermare che la mortalità a 30 giorni si riduce all’aumentare dei volumi di attività ovvero, nell’ambito cardiovascolare, che maggiore è il numero di ricoveri per infarto miocardico acuto o di interventi di bypass aorto-coronarico che una struttura esegue, più alti sono il grado di esperienza e la qualità dell’assistenza offerta”. Per quanto riguarda l’infarto miocardico acuto, le strutture più virtuose che rispettano i volumi minimi di ricoveri sono principalmente al Nord (45%), seguono il Sud e le Isole (34% complessivo) e il Centro Italia (21%). In particolare si distingue l’Emilia Romagna con le strutture Ospedale di Parma e l’Arcispedale Sant’Anna (Cona) e la Campania con l’Azienda Ospedaliera A. Cardarelli di Napoli.